A NATALE, UN SUSSULTO DI DIGNITA'

 
da "Ritrovarci": anno XXX - numero 5 - dicembre 2007

don Alberto Franzini

A NATALE

UN SUSSULTO DI DIGNITA'

 

Ogni anno il calendario liturgico cristiano, sul quale si modella in gran parte anche il calendario civile, ci ripropone la festa del Natale. Val la pena precisare subito che si tratta del Natale di Gesù di Nazareth, l'uomo nel quale, secondo la fede cristiana, è apparso Dio stesso. Quella nascita è stata ritenuta talmente significativa che, per tanti popoli, è proprio a partire da quell'evento, successo a Betlemme di Giudea, che viene scandito il tempo dell'uomo: avanti Cristo e dopo Cristo. Ma perché quella nascita è ritenuta significativa?

La risposta ce la danno le sacre Scritture, ce la dà la storia di tanti coraggiosi testimoni della fede, anche del nostro tempo, ce la danno tanti uomini e tante donne che, pur non godendo delle facili quanto futili luci della ribalta, affrontano il vivere, il gioire, il soffrire e il morire con la speranza che viene guardando alla luce vera, guardando a Colui che hanno trafitto. Sì, il significato di quella nascita é tutto racchiuso nell'evento di quella morte: morte di croce sul Golgota a Gerusalemme. E' lì che il centurione romano - uno che non apparteneva al popolo di Israele, uno che pregava fino a quel momento gli dei del Pantheon di Roma - vedendo Gesù morire a quel modo - ossia urlando il proprio dolore sulla croce - esclama: "Quest'uomo era veramente Figlio di Dio!". C'era stato un altro personaggio, sinistro e cinico, che aveva intuito, con una sorta di chiaroveggenza che luccica persino nel cuore degli empi, tutto il pericolo che rappresentava quella nascita: il re Erode, che aveva timore di quel Bambino, perché vi intravedeva non il testimone dell'amore appassionato di Dio per questo mondo, ma il sorgere di una potenza competitiva, che avrebbe minato il suo trono. Anche il vecchio Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, aveva visto giusto. A Maria e a Giuseppe, che si recavano con il Bambino al tempio di Gerusalemme, disse: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione, segno di contraddizione, perché siano svelati i pensieri di molti cuori".

Il Natale cristiano è questo, non altro. Gesù di Nazareth continua a svelare i pensieri di tanti cuori, perché, dalla culla di Betlemme alla croce di Gerusalemme, è la narrazione umana del mistero di Dio, ed è anche la narrazione del mistero dell'uomo di fronte a Dio. Noi possiamo ancora dire Dio , perché Gesù ce lo ha rivelato, ce lo fa sentire talmente vicino da diventare, Lui il Santo, esperienza umana e da tradursi nel nostro alfabeto umano.

Dire Dio come lo ha detto Gesù significa stare dalla parte della verità, essere afferrati e affascinati dalla verità, e dunque respingere tutte le sue allettanti e soporifere contraffazioni per essere davvero donne e uomini liberi. L'Occidente pare essere entrato in una fase di torpore, se non di sonno, per cui alla passione per la verità è subentrata una sorta di appiattimento sul bisogno immediato da soddisfare: come se l 'energia umana fosse solo bisogno, e non anche desiderio e financo nostalgia, sospiro, tensione, attesa, lotta, che solo sui tempi lunghi e densi della ricerca della verità, e non su quelli tragicamente brevi delle soddisfazioni da appagare, trova la sua degna linfa e vive la sua nobile e densa avventura. Gli occhi e il cuore dell'uomo occidentale sono entrati nella cecità e nella sclerocardia, perché messi nella condizione di non sperare e di non attendere più nulla. Il Natale di Gesù tiene invece desta e vigile l'attesa, perché ci rinfranca nella verità del ritorno del Signore alla fine della storia umana.

Dire Dio come lo ha detto Gesù significa adorare Colui che, solo, merita la nostra adorazione. Se spodestiamo Dio dal suo trono - un trono che in Gesù si rivela nella debolezza di una culla e nello scandalo di una croce - allora finiamo per incoronare gli idoli. La storia umana, anche la piccola storia delle nostre città e dei nostri villaggi, è costellata da questo continuo abominio della desolazione , come senza ambage la Bibbia chiama l'idolatria. Non facciamo fatica a scorgere quante volte la storia dell'uomo ha visto all'opera questo abominio, questo mettere altro al posto di Dio: il potere, lo stato, il partito, l'ideologia, la ricchezza, la violenza. La storia della prepotenza umana, è in fondo storia di idolatria, di svendita di se stessi, di inginocchiamento servile davanti alle goffe potenze di questo mondo (ricordate il film Il grande dittatore ?), di abdicazione a riconoscersi creature e quindi a riconoscere, a pieni polmoni, il Creatore che ci ha fatti a sua immagine. La libido dominandi è una potenza seduttrice, che, quando spadroneggia finisce non solo per distogliere l'uomo dall'adorare il mistero santo di Dio, ma per distruggere l'edificio stesso della convivenza umana. Quando questa libido, che è la forma estrema del narcisismo e dell'affermazione di sé, acquista la forma e occupa la poltrona del potere (culturale e mediatico, prima che politico), allora essa diventa liberticida, perché non sopporta più, alla faccia della democrazia, chi ha il coraggio di prendere le distanze, di custodire una diversità, di sostenere un pensiero e un'azione alternativi. Non è un caso che una società come la nostra, estenuata nel suo tessuto sociale e sfiduciata verso il futuro, veda sorgere il culto della personalità e applauda a fenomeni degradanti, quali la personalizzazione e la spettacolarizzazione di tutti i poteri, la banalizzazione della vita umana, ridotta a oggetto di compravendita o di “prove tecniche” da laboratorio, la sovraesposizione mediatica di tutte le devianze e di tutte le brutture del vivere, il gossip estenuante che butta nella spazzatura mediatica il vissuto, soprattutto trasgressivo, delle persone.

Dire Dio come lo ha detto Gesù significa amare e perdonare, con la stessa sua passione, con la stessa sua intensità, con lo stesso suo spessore, con la sua stessa sconvolgente gratuità: fino alla donazione di sé sul legno della vergogna. Chi non ha una ragione per cui morire (e deve essere una ragione alta e profonda, più della propria stessa vita), allora non ne ha nemmeno una per cui vivere. E' spesso desolante - riconosciamolo una buona volta - il clima di pensiero, il clima culturale ed educativo (o diseducativo?), il clima di arroganza con cui si affrontano nella nostra società le grandi questioni umane dell'amore, della amicizia, della sessualità, della giustizia, del nascere e del morire. Come è desolante il ripiegamento asfissiante dell'Occidente su se stesso, nella sistematica dimenticanza e persino nello sfruttamento delle persone più deboli e dei popoli più poveri. Come sono vergognosi il commercio delle armi, la compravendita di organi, il rifiuto della vita, gli abusi sui minori, la violenza sulle donne. Si sta giocando al ribasso: troppo spesso e troppo spavaldamente, e da parte di coloro che si presentano o si credono i soloni della cultura nel nostro bel Paese. Si denuncia tutto e il contrario di tutto. Qualche volta chi si arrabbia ha anche ragione. Ma è la rabbia dell'amore, è la rabbia della testimonianza , è la rabbia di chi è disposto a pagare di persona che vediamo spegnersi nel nostro Occidente. Sembrano uscire vincenti gli urlatori, non i martiri; i cortigiani, non i testimoni; gli arraffoni, non i buoni; coloro che spacciano la trasgressione per verità, non coloro che sinceramente tendono a ciò che è giusto e vero e bello; coloro che innalzano monumenti a se stessi, non coloro che sanno condividere e dare spazio all'altro; coloro che ritengono di costruire sul fango e sul torbido, non coloro che si impegnano a costruire sulla dura roccia della verità e dell'amore.

Il Natale sia un sussulto di dignità, di verità e di speranza per tutti: l'Uomo di Betlemme è nato fuori casa ed è morto fuori della città, proprio perché nessuno si senta estraneo alla sua vicenda, e ognuno si senta di casa nella famiglia degli amici di Dio.

Con l'augurio di un buon Natale a tutti, insieme a don Guido, a don Angelo e a don Davide.

Don Alberto

 


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