“Senza Dio i conti non tornano”
 
da "Ritrovarci": anno XXIX - numero 4 - ottobre 2006

Benedetto XVI

“Senza Dio i conti non tornano”
Benedetto XVI a Ratisbona, in una magistrale lezione, torna su uno dei temi a lui cari: il rapporto tra fede e ragione. La razionalità, ben intesa, è amica di Dio: come dimostra il nesso profondo tra il pensiero greco, il patrimonio di Roma e l’esperienza cristiana. Senza Dio, è l’uomo a uscirne ridotto. Bisogna dunque riprendere il coraggio di aprirsi all’ampiezza della ragione. E ricordarsi che la vera tolleranza comprende il timor di Dio. Solo credendo nel Dio di Gesù Cristo possiamo liberarci dalle tante paure del mondo e dall’angoscia di una esistenza vuota e senza senso.

“Nella nostra università c’era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esiste: Dio”. Di nuovo in cattedra, nell’ateneo in cui ha insegnato dogmatica dal 1969 al 1977, Benedetto XVI esordisce con una serie di ricordi. Tra i quali c’è anche questa frase di un docente dei suoi tempi, che così cercava di sminuire lo status “scientifico” della teologia. Trent’anni dopo, al Papa che torna nell’università di Ratisbona (12 facoltà, 25mila studenti), quella frase serve, invece, per ribadire che credere “è ragionevole”, per affermare che “Dio agisce con ragione e parola (logos)” e che, dunque, non lo si può ridurre a “problema prescientifico”. Anzi, “allargare i confini della ragione e del suo uso”, includendovi le domande fondamentali sull’uomo, è necessario specie oggi che abbiamo bisogno di “dialogo vero” con le culture e le religioni. Un dialogo “urgente” anche per disinnescare due opposti fondamentalismi. Quello “irragionevole” appunto, che mira a “diffondere la fede mediante la violenza” (chiaro il riferimento alle diverse guerre sante: “La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell’anima”), ma anche quello, tutto occidentale, che riduce la ragione alla sola scienza empirica.
Papa Ratzinger pronuncia il suo discorso di fronte ai rappresentanti della scienza, nell’aula magna dell’ateneo, gremita di docenti e studenti, che all’arrivo gli tributano anche un breve omaggio musicale. Il tema è quello che più gli è caro. Il rapporto tra fede e ragione. E il Papa non risparmia le critiche al pensiero scientista. “Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture – afferma infatti – è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”. Specie “quelle culture profondamente religiose che vedono proprio in questa esclusione del divino un attacco alle loro convinzione più intime”. E’ un pensiero su cui il Papa si era già intrattenuto due giorni prima, durante l’omelia della messa a Monaco di Baviera, parlando delle popolazioni dell’Asia e dell’Africa, che rimangono spaventate dal cinismo dell’Occidente. “La vera minaccia per la loro identità – aveva affermato a Monaco il Papa – non la vedono nella fede cristiana, ma invece nel disprezzo di Dio e nel cinismo che considera il dileggio del sacro un diritto della libertà ed eleva l’utilità a supremo criterio morale per i futuri successi della ricerca. Cari amici – continuava Benedetto XVI – questo cinismo non è il tipo di tolleranza e di apertura culturale che i popoli aspettano e che tutti noi desideriamo. La tolleranza di cui abbiamo urgente bisogno comprende il timor di Dio, il rispetto di ciò che per altri è cosa sacra. Questo rispetto per ciò che gli altri ritengono sacro presuppone che noi stessi impariamo nuovamente il timor di Dio”.
Il riferimento non è solo all’islam. Ben più ampio è infatti il quadro tracciato dal Papa, che spiega, ad esempio, l’incontro tra pensiero greco e fede cristiana, ricordando come proprio “questo incontro, al quale si aggiunge successivamente il patrimonio di Roma, ha creato l’Europa”.
Proprio perciò egli mette in guardia dai tentativi di “disellenizzazione” del cristianesimo, succedutisi dal ‘500 ad oggi. In particolare Benedetto XVI contesta la tesi secondo cui “soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità”. Questo metodo infatti “esclude il problema Dio, facendolo apparire come ascientifico o prescientifico. In questo modo, argomenta il Papa, “gli interrogativi propriamente umani, cioè quelli del ‘da dove’ e del ‘verso dove’ non possono trovare posto nello spazio della comune ragione descritta dalla ‘scienza’ e devono essere spostati nell’ambito del soggettivo”. Il pericolo è evidente. “Lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione”.
Che cosa bisogna fare, dunque? Benedetto XVI precisa che dobbiamo “allargare il nostro concetto di ragione”. E ciò sarà possibile “se superiamo la limitazione autodecretata della ragione e ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza”. Anche “le grandi esperienze e convinzioni religiose dell’umanità, specialmente quella della fede cristiana, costituiscono una fonte di conoscenza”. E perciò anche la teologia, “come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell’università e nel vasto dialogo delle scienze”. Con buona pace del suo antico collega e di quanti la pensano come lui.
Durante la messa del mattino a Ratisbona, Benedetto XVI nell’omelia aveva anche affermato che all’origine di tutta la realtà “c’è il Verbo eterno, la Ragione e non l’Irrazionalità”. Per questo motivo, credere è ragionevole. E se fin dall’illuminismo la scienza è stata tentata di considerare superfluo Dio, in realtà senza Dio “appare evidente che i conti non tornano”. La prova si ha guardando alla storia dell’uomo. “Oggi conosciamo le patologie e le malattie mortali della religione e della ragione – prosegue il Papa – le distruzioni dell’immagine di Dio a causa dell’odio e del fanatismo”. E sappiamo anche che proprio a causa della paura di Dio “nacque l’ateismo moderno”. Per curare queste malattie, afferma Papa Benedetto XVI, “è importante dire con chiarezza in quale Dio noi crediamo e professare convinti questo volto umano di Dio. Solo questo Dio ci salva dalla paura del mondo e dall’ansia di fronte al vuoto della propria esistenza”.



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