| NON SOLO MODAIl banale oggi è fatto passare per normale e ciò che è 
        normale è stato confinato sulle vette inaccessibili dell'eccezione. 
        Eppure fatti non fummo per viver come bruti
 Prendiamo ad esempio il campo della moda: oggi i giovani italiani in 
        genere vestono male e in modo innaturale: vite basse, cavalli bassi, jeans 
        stracciati, marche e firme in grande evidenza, scarpe da ginnastica in 
        ogni occasione. Si vestono così perché la moda lo impone e li ha convinti 
        che è bello vestirsi così: li ha convinti cioè che 
        il brutto, l'oggettivamente brutto (il trasandato, lo scomodo, etc.) in 
        realtà è pratico, elegante, moderno. Il banale è 
        stato cioè elevato alla condizione di normalità.
 E la conseguenza - seguitemi nel prossimo scoglio del ragionamento - è 
        che ciò che un tempo era normale (la vera eleganza) ora è 
        diventata una cosa eccezionale, quasi fuori posto; ma talmente fuori che 
        la vera eleganza è diventata irraggiungibile. Persino i pur costosissimi 
        vestiti degli invitati al matrimonio non arrivano all'eleganza: si fermano 
        spesso alla soglia dell'improbabile con qualche cenno di sconfinamento 
        nel bizzarro.
 Il guaio però non si ferma alla moda, della quale io capisco immaginate 
        voi quanto. Ma il trucchetto del banale che prende il posto del normale 
        per spedire quest'ultimo sulle vette dell'irraggiungibile, questo trucchetto 
        è diffuso in molti settori, compreso quello veramente nodale dell'educazione.Oggi ci contenta di stili di vita banali perché la banalità 
        è diventata normalità.
 Scuola: aspirare al sei-meno perché altrimenti ti danno della secchia. 
        Libri: leggere solo quelli che ti obbligano e se devi fare la relazione 
        fattela passare. Ricerche: scarica da internet e copia-incolla. Poesie: 
        imparare a memoria fa male. Lavoro: impara una macchina e non fare la 
        fatica di impararne un'altra. Religione: fino alla cresima poi lasciare 
        che tutto si spenga nella dolce eutanasia dello spirito. Ect, ect. Tutto 
        questo, che è la banalizzazione della vita, oggi è passato 
        al rango di normalità. E nella normalità dormiamo tutti 
        sonni tranquilli.
 Studiare per ottenere il massimo che posso rendere, divorare i libri per 
        il gusto di farlo, ricercare informazioni confrontandole e stendere con 
        le proprie parole un sunto critico, imparare un mestiere a fondo e in 
        tutti i suoi risvolti
 tutto questo sarebbe oggi per pochi, per pochi 
        individui eccezionali che spesso sono anche derisi.
 E invece no! Le cose non stanno così! Normale, in realtà, 
        è il giovane che ha degli ideali, che va alla S. Messa, anche feriale, 
        che studia per imparare e non si vergogna di farlo, che legge libri e 
        ascolta anche la musica classica, che si appassiona alle mostre d'arte 
        e che non scandisce la propria settimana solo di feste di compleanni, 
        allenamenti sportivi e bicchierate d'aperitivo o di bassa, media e alta 
        serata.La Chiesa, nella sua sapienza, non a caso, pone alla attenzione dei fedeli 
        alcune figure di giovani di fronte alle quali non si può oggi non 
        rimanere stupiti.
 Pier Giorgio Frassati, morto nel 1925 (a pochi mesi dalla laurea) dopo 
        quattro giorni di dolorosa e improvvisa poliomielite fulminante. Di lui, 
        papa Giovanni Paolo II, il 20 maggio 1990, ebbe a dire nell'Omelia della 
        S. Messa di beatificazione,  "Certo, ad uno sguardo superficiale, lo stile di Pier Giorgio Frassati, 
        un giovane moderno pieno di vita, non-presenta-granché-di-straordinario 
        [sic!]. Ma proprio questa è l'originalità della sua virtù, 
        che invita a riflettere e che spinge all'imitazione. In lui la fede e 
        gli avvenimenti quotidiani si fondono armonicamente, tanto che l'adesione 
        al Vangelo si traduce in attenzione amorosa ai poveri e ai bisognosi, 
        in un crescendo continuo sino agli ultimi giorni della malattia che lo 
        porterà alla morte. Il gusto del bello e dell'arte, la passione 
        per lo sport e per la montagna, l'attenzione ai problemi della società 
        non gli impediscono il rapporto costante con l'Assoluto. Tutta immersa 
        nel mistero di Dio e tutta dedita al costante servizio del prossimo: così 
        si può riassumere la sua giornata terrena! La sua vocazione di 
        laico cristiano si realizzava nei suoi molteplici impegni associativi 
        e politici, in una società in fermento, indifferente e talora ostile 
        alla Chiesa. Con questo spirito Pier Giorgio seppe dare impulso ai vari 
        movimenti cattolici, ai quali aderi con entusiasmo, ma soprattutto all'Azione 
        Cattolica, oltre che alla FUCI, in cui trovò vera palestra di formazione 
        cristiana e campi propizi per il suo apostolato. Nell'Azione Cattolica 
        egli visse la vocazione cristiana con letizia e fierezza e s'impegnò 
        ad amare Gesù e a scorgere in lui i fratelli che incontrava nel 
        suo sentiero o che cercava nei luoghi della sofferenza, dell'emarginazione 
        e dell'abbandono per far sentire loro il calore della sua umana solidarietà 
        e il conforto soprannaturale della fede in Cristo. Morì giovane, 
        al termine di una esistenza breve, ma straordinariamente ricca di frutti 
        spirituali, avviandosi " alla Vera Patria a cantare le lodi a Dio 
        ". e tutto questo, per il papa Giovanni Paolo II "non-presenta-granché-di-straordinario": 
        sembra umorismo. No! Non lo è! Così si dovrebbe cercare 
        di vivere!E il beato Piergiorgio è in buona compagnia.
 Sophie Sholl, nata nel 1921, membro del gruppo di resistenza della Rosa 
        Bianca al tempo della dittatura nazionalsocialista e recentemente ritratta 
        nel bel film di Mark Rothermund, a quattordici anni leggeva San Agostino 
        e San Tommaso d'Acquino. Una marziana? No! Una ragazza del suo tempo. 
        Rischiò e pago con la vita il suo impegno.
 Di Alberto Marvelli (1918-1949) si dice che "la mole di lavoro che 
        svolge in diocesi con ammirevole costanza ed entusiasmo, che ignora stanchezza 
        e sconforto, è straordinaria" e che "nel suo programma 
        quotidiano c'è la Messa. La meditazione, la lettura spirituale, 
        l'esame di coscienza, il Rosario, il piccolo Ufficio della B. V. Maria 
        e inoltre lunghe ore di adorazione in Chiesa e raccolti ringraziamenti 
        dopo aver ricevuto la Comunione" (Cfr. Il Mosaico, febbr. 2006).
 Giacomo Maffei (1914-1935), cui il nostro Oratorio è intitolato, 
        scrive in una sua lettera dell'8 marzo 1931: "Caro papà, ho 
        già letto la vita di San Paolo; è molto bella e poi è 
        facile. Anzi io desidererei un po' alla volta fare una specie di raccolta 
        di vite di Santi e comprerò presto quella di S. Francesco di Sales". 
        Ha 17 anni! Chi oggi scrive ancora lettere? Chi legge le vite dei santi? 
        Certo nel nostro Giacomo (se qualcuno ha letto i suoi scritti lo sa) qualcosa 
        di straordinario c'era, ma egli non era un superuomo (la matematica gli 
        complicò ad un certo punto la carriera scolastica).
 Insomma questi giovani sono esempi edificanti per tutti noi ma, riprendendo 
        l'espressione di Giovanni Paolo II, non-presentarono-granché-di-straordinario 
        nella loro figura. Sottolineare in loro in maniera eccessiva lo straordinario, 
        infatti, sarebbe per ciascuno di noi un bell'alibi. Invece no! La santità, 
        l'eroismo, l'impegno, il lavoro, la preghiera sono realtà possibili 
        e non privilegi d'elite! Pertanto da noi stessi e dai giovani occorre 
        tornare ad esigere e occorre ribellarsi al giochino del pensiero di oggi: 
        quello di presentare la normalità come eccezionalità e, 
        quindi, quello di far accettare la banalità come normalità. 
        Consapevoli che la "giovinezza" è oggi un'età 
        estremamente ampia, sempre più indefinita, compresa, per il momento, 
        tra i quattro e i quarantenni (non a caso la Consulta dei giovani della 
        nostra città, ha dovuto coinvolgere i quattordicenni ma anche i 
        trentenni), bisogna rischiare e tornare a proporre il non-granchè-di-straordinario 
        del Frassati, la passione dei giovani della Rosa Bianca per l'arte, la 
        letteratura, la filosofia. Tornare a proporre ai giovani, e anche a noi 
        stessi, il sacrificio e l'impegno come il sale che dà sapore alla 
        vita.
 I giovani, ma non solo loro, tutti noi, dobbiamo tornare a fare pace con 
        la cultura anche se occorre limitarne il concetto: oggi "Cultura" 
        è, praticamente, qualsiasi forma di espressione umana: un murales, 
        un tatuaggio, un paio di jeans stracciati
 sono cultura (esattamente 
        - ahimè - come un dipinto di Giotto o uno scritto di Cicerone); 
        e, invece, non tutto è cultura: il brutto e il banale non sono 
        cultura. Sono il limite, che pure fa parte dell'uomo, ma non possono essere 
        l'aspirazione dell'uomo. Basta una breve riflessione per comprendere l'importanza 
        della cultura in senso stretto, perfino come accumulo noioso di nozioni 
        e concetti. Se fosse anche solo questo, sarebbe comunque sufficiente visto 
        che non si dà scoperta, progresso senza una sensata e cosciente 
        sistematizzazione del passato. Solo questo bagaglio, in quanto bagaglio, 
        pesante, permette poi la massima naturalità. Solo il piacere della 
        lentezza permette di provare la gioia della velocità.
 Pertanto, può darsi che con i pochi "non-normali" (e 
        che spero per loro non vengano mai normalizzati) adolescenti che frequentano 
        la catechesi settimanale in parrocchia si affronti prossimamente un-non-granchè-di-straordinario 
        come la lettura delle Confessioni di Sant'Agostino. "Non verranno più nemmeno quei pochi" mi sembra di sentimi 
        dire. Già, può darsi, anzi quasi sicuramente! Ma nel frattempo 
        mi conforta la notizia che un centinaio di giovani si sono organizzati 
        per recitare a memoria in vari punti della città di Milano ciascuno 
        un canto della Divina Commedia. (Chissà se si vestiranno bene
).
 Don Davide
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