"IL CROCIFISSO RESTERA' NELLE AULE
ANCHE PER LA SUA FUNZIONE
SIMBOLICA ALTAMENTE EDUCATIVA"
Importante clamorosa sentenza del Consiglio di Stato del 13 gennaio 2006
da "Ritrovarci": anno XXIX - numero 2 - aprile 2006

 

IL CROCIFISSO RESTERA' NELLE AULE
ANCHE PER LA SUA FUNZIONE
SIMBOLICA ALTAMENTE EDUCATIVA
Importante clamorosa sentenza del Consiglio di Stato del 13 gennaio 2006

Ancora una sentenza che certamente farà discutere: il crocifisso deve restare nelle aule scolastiche non perché sua un "suppellettile" o un "oggetto di culto", ma perché "è un simbolo idoneo ad esprimere l'elevato fondamento dei valori civili" (tolleranza, rispetto reciproco, valorizzazione della persona, affermazione dei suoi diritti, solidarietà umana, rifiuto di ogni discriminazione, ecc…) che hanno un'origine religiosa, ma "che sono poi i valori che delineano la laicità nell'attuale ordinamento dello Stato". Lo ha stabilito il Consiglio di Stato che, con un'importante e articolata sentenza, ha respinto il ricorso di una cittadina finlandese, una certa Soile Lauti, che chiedeva la rimozione del crocifisso dalla scuola media frequentata dai suoi figli ad Abano Terme.
La donna aveva già fatto ricorso al Tar del Veneto che prima di darle torto aveva sollevato una questione di legittimità dinanzi alla Corte Costituzionale. I giudici della Consulta (nel mese di dicembre 2004) avevano dichiarato inammissibile la questione (e quindi non erano entrati nel merito) perché l'affissione del crocifisso nelle scuole non era prevista da una legge, bensì da due regolamenti del 1924 e del 1927 sugli arredi scolastici sui quali il giudice delle leggi non poteva sindacare. A risolvere la delicata questione sono stati i supremi giudici amministrativi della VI Sezione.
Nella sentenza (19 pagine) del Consiglio di Stato vengono posti importanti paletti.
Innanzitutto è affermato che "la laicità, benché presupponga e richieda ovunque la distinzione tra la dimensione temporale e la dimensione spirituale e fra gli ordini e le società cui tali dimensioni sono proprie, non si realizza in termini costanti e uniformi nei diversi Paesi, ma pur all'interno della medesima civiltà, è relativa alla specifica organizzazione istituzionale di ciascun Stato, e quindi essenzialmente storica, legata com'è al divenire di questa organizzazione". Insomma, diverso è il principio della laicità nel mondo anglosassone, dove "è consentito al legislatore secolare dettare norme in materie interne alla chiesa stessa" (in quanto la chiesa anglicana è dipendente dal potere secolare); diverso nell'ordinamento francese, dove la laicità è perseguita "anche con mortificazione dell'autonomia organizzativa delle confessioni e della libera espressione individuale della fede religiosa"; diverso negli Stati Uniti d'America, dove la "pur rigorosa separazione fra lo Stato e le confessioni religiose", "non impedisce un diffuso pietismo nella società civile, ispirato alla tradizione religiosa dei Padri pellegrini". Diverso è il principio di laicità in Italia, dove la laicità - senza minimamente intaccare la legittima autonomia delle due sfere, civile e religiosa, e fatta salva la libertà di tutti in materia religiosa (di professare o non professare una fede religiosa, e di manifestare in pubblico e in privato la propria fede) - alla luce delle norme costituzionali italiane, viene compresa secondo la logica di un "atteggiamento di favore nei confronti del fenomeno religioso", anche mediante la via concordataria, ossia mediante una pattuizione non soltanto con la religione di maggioranza, ma anche con le altre confessioni religiose.
Premesso ciò, il Consiglio di Stato lascia alle dispute dottrinarie la definizione astratta di "laicità": "£in questa sede giurisdizionale - si legge nella sentenza n. 556 - si tratta in concreto e più semplicemente di verificare se l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche sia lesiva dei contenuti delle norme fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, che danno forma e sostanza al principio di laicità che connota oggi lo Stato italiano, e al quale ha fatto più volte riferimento il supremo giudice delle leggi", ossia la Corte Costituzionale. "E' evidente - affermano i giudici di Palazzo Spada - che il crocifisso è un simbolo che può assumere diversi significati e servire per intenti diversi, innanzitutto per il luogo in cui è posto".
Se in un luogo di culto "è propriamente ed esclusivamente un simbolo religioso", "in una sede non religiosa , come la scuola, destinata all'educazione dei giovani, il crocifisso - prosegue la sentenza - potrà ancora rivestire per i credenti i suaccennati valori religiosi, ma per credenti e non credenti la sua esposizione sarà giustificata ed assumerà un significato non discriminatorio sotto il profilo religioso, se esso è in grado di rappresentare e di richiamare in forma sintetica immediatamente percepibile ed intuibile (al pari di ogni simbolo) valori civilmente rilevanti".
In tal senso - sottolinea il Consiglio di Stato - il crocifisso potrà svolgere, anche in un orizzonte laico, diverso da quello religioso che gli è proprio, una funzione simbolica altamente educativa, a prescindere dalla religione professata dagli alunni".
Il richiamo, attraverso il crocifisso, dell'origine religiosa dei valori della nostra convivenza anche civile, non mette in discussione, anzi ribadisce "l'autonomia dell'ordine temporale rispetto all'ordine spirituale" e non sminuisce "la loro specifica laicità, confacente al contesto culturale fatto proprio e manifestato dall'ordinamento fondamentale dello Stato italiano". Tali valori pertanto "andranno vissuti nella società civile in modo autonomo (di fatto, non contraddittorio) rispetto alla società religiosa, sicchè possono essere laicamente sanciti per tutti, indipendentemente dall'appartenenza alla religione che li ha ispirati e propugnati".
Le motivazioni lucidamente espresse nella sentenza del Consiglio di Stato non sono che l'articolazione logica di un principio, solennemente sancito negli Accordi di revisione del Concordato per legittimare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane, secondo cui la Repubblica italiana "riconosce il valore della cultura religiosa e tiene conto che i principi del cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano".


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