"Santo Stefano ci insegna
a rimanere fedeli alla identità cristiana"

L'omelia di mons. Giovanni Volta, già Vescovo di Pavia, che ha presieduto la concelebrazione eucaristica nella festa patronale di Santo Stefano lo scorso 26 dicembre 2004
da "Ritrovarci": anno XXVIII - numero 1 - marzo 2005

mons. Giovanni Volta,vescovo di Pavia

La scelta di un Patrono è sempre legata al desiderio di un ideale. Il Patrono non è semplicemente chi ci potrà aiutare, ma anzitutto chi ci insegna a camminare. Ecco la prima ragione per cui qui a Casalmaggiore si è scelto santo Stefano. Ogni paese ha un esemplare davanti agli occhi. Certo, il primo esemplare è Lui, Gesù Cristo; ma poi noi sentiamo il bisogno di vedere altri che hanno imitato Gesù Cristo, qualcuno che sia nato nella nostra terra, che ci presenti l'imitazione di Gesù Cristo più tangibile per noi. Di qui allora la scelta di Santo Stefano. Ma la scelta del protettore è legata intimamente anche al nostro modo di vedere l'uomo. Come lo vediamo? Chi è l'uomo? Perché in base a questo sceglieremo il nostro esemplare. Uno che è appassionato di sport - lo vediamo nei nostri ragazzi - ha nella sua stanza l'immagine di un grande sportivo. Un altro può avere l'immagine di un cantante, perché quello è il suo ideale di vita. E' determinante, allora, il modo di intendere l'uomo per capire la scelta del proprio ideale. E per noi credenti? L'uomo viene al mondo per caso? Si costruisce lui il proprio destino? Chi è l'uomo? Per noi credenti, sempre l'uomo è un chiamato: un chiamato da Dio. E proprio ieri noi abbiamo ricordato il Santo Natale. Gesù Cristo in tutta la sua vita diventa ai nostri occhi la rivelazione di chi ha voluto essere Dio per noi, e nello stesso tempo la rivelazione di chi dobbiamo essere noi per Lui. Quindi Gesù Cristo è l'esemplare di ogni uomo che viene in questo modo, così che il suo destino è proposto a noi perché diventi anche il nostro destino. Tutta la vita del Signore è una "chiamata" per l'uomo: è chiamata nella sofferenza, è chiamata nella gioia, è chiamata nell'amicizia, è chiamata fino alla voce estrema nella croce.
Comprendiamo allora come Santo Stefano diventa ai nostri occhi l'esemplare della risposta alla chiamata di Gesù. E ne così chiara coscienza la Chiesa primitiva, tanto che ci lascia la memoria della morte di Santo Stefano con una descrizione molto simile alla morte di Gesù, per dirci che Santo Stefano volle imitare Gesù. E non lo imitò semplicemente nella parola, ma anche nella sua vita. Si osservi la conclusione della prima lettura, quando Santo Stefano si consegna a Dio, come Gesù sulla croce si consegnò al Padre; e, come Gesù sulla croce, anche lui perdona ai suoi persecutori, tanto da dire: "Signore, non imputare loro questo peccato". Santo Stefano è la realizzazione più profonda dell'uomo, che si definisce "chiamato da Dio". L'uomo riuscito è la risposta più piena alla chiamata del Signore. L'uomo non riuscito è colui che non sa rispondere alla chiamata del Signore: una chiamata che investe tutta la nostra esistenza, una chiamata che condiziona il nostro futuro, una chiamata che permette di valorizzare tutte le nostre vicende, se vissuta in una risposta d'amore nei riguardi di Dio. Ecco l'esemplare che i vostri padri si sono scelti per voi, per ogni famiglia.
Qual è allora l'ideale per i nostri ragazzi? Poter rispondere adeguatamente a Gesù Cristo. E dove vediamo il cammino e lo stile di questa risposta? Nella vita di Gesù Cristo. E Santo Stefano ce ne dà l'esempio. Da qui un interrogativo che riguarda proprio il nostro tempo, un interrogativo che viene ripresentato anche nel testo di Matteo che abbiamo ascoltato. Un'esigenza emerge: salvaguardare la nostra identità. Un discorso oggi molto diffuso, perché la televisione, i mezzi di comunicazione sociale, il giornale, la presenza di persone che vengono da varie parti del mondo stimolano in noi la domanda: noi chi siamo? Come mantenere la nostra identità, in questa costante situazione di confronto, in questo pericolo di essere sommersi e dominati? Il cristiano rinuncia alla propria identità? Se c'è un uomo che afferma la propria identità, è il martire. L'afferma in modo così forte da dare la vita. Preferisce la morte alla rinuncia del suo essere più profondo. Vedete come Santo Stefano ha questa profonda attualità: mantenere l'identità. Ma il mantenimento dell'identità non è suggerito da un sentimento di orgoglio, bensì da un sentimento di amore e di fedeltà a Gesù Cristo: è Lui che tiene in sé la verità della nostra vita. L'identità per il cristiano significa fedeltà alla verità della propria esistenza, significa il non essere disposti a barattare la verità della propria esistenza per un qualche interesse contingente e provvisorio. Ma noi troviamo nel mondo tanti altri che sono disposti a morire: sono martiri, secondo la visione cristiana? Come muore il martire? Ecco il paradosso del martire: il martire cristiano muore per la fedeltà a Gesù Cristo. Ma la fedeltà a Gesù Cristo non lo porta a dare la vita "contro" gli altri, non lo porta ad arrischiare la vita per uccidere gli altri, non muore per opprimere gli altri. Il suo gesto, il suo amore all'identità, è la fedeltà allo stesso amore di Gesù Cristo, il quale, a differenza dei re della terra - come direbbe Gesù - non conquista uccidendo e possedendo, ma conquista donando.
Il martire allora dona la vita in fedeltà all'amore di Dio e per questo dona la vita per la salvezza del suo prossimo, anche di chi lo uccide. Ecco la qualità specifica del martire cristiano, ecco la qualità di Santo Stefano: essere se stessi nella fede cristiana significa non solo essere fedeli, ma saper amare, con un amore che raggiunge perfino i nostri nemici. In modo significativo il nostro Papa ha voluto scegliere per la prossima Giornata della Pace il 1 gennaio proprio questo detto: Vincere il male con il bene. Il martire è uno che si impegna in questo: vincere il male con il bene, vincere il male con il dono di sé, perché il male è amare così tanto se stessi da odiare gli altri, è essere preoccupati così tanto di sé da opporsi a Dio. Il bene invece è amare così profondamente Dio da seguirlo anche nella sua paternità universale, da seguirlo anche nel dono di sé. Pur tornando molto indietro nei secoli, noi ascoltiamo una lezione che è attualissima ancor oggi: il richiamo alla fedeltà e insieme il richiamo alla solidarietà e alla accoglienza. Non si tratta di due termini contraddittori, ma anzi consequenziali: proprio perché si accoglie Lui, non si può non accogliere di Gesù Cristo anche l'ampiezza del suo amore.


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