editoriale
"La Domenica, giorno del Signore, giorno della comunità "
 
da "Ritrovarci": anno XXVII - numero 4 - ottobre 2004

di Don Alberto

All'inizio di un nuovo anno pastorale, il nostro Vescovo ci invita a vivere in modo comunitario la domenica, nel contesto del rinnovamento della prassi di iniziazione cristiana per i nostri ragazzi e le nostre famiglie.
Interrogarsi sulla domenica significa porre in modo rinnovato la questione del nostro rapporto con il tempo. Si parla molto oggi di ecologia, come recupero di un'armonia con lo spazio. Ma bisogna recuperare anche l'armonia con il tempo, che è una dimensione e una dinamica fondamentale della nostra esistenza. Che senso ha il tempo nella nostra vita? Come lo viviamo? Come lo impieghiamo? Oggi - è inutile nasconderlo - viviamo un po' tutti, anche noi cristiani, un rapporto patologico con il tempo: perché non abbiamo più tempo per nessuno e per niente, forse non abbiamo nemmeno più tempo per noi stessi! Ma chi ce l'ha rubato il tempo?
E' in questo contesto che riacquista tutto il suo significato il giorno domenicale, sempre meno vissuto anche da noi cristiani, perché l'abbiamo riempito d'altro. Ma questo giorno è di Dio, e dunque anche dell'uomo: e solo in quanto è di Dio, questo giorno può essere anche pienamente dell'uomo. Nessuno ce lo può rubare o snaturare. E' Dio stesso che, creando il mondo e l'uomo, ha comandato al suo popolo: "Ricordati del giorno di sabato per santificarlo: sei giorni faticherai e farai ogni tuo lavoro; ma il settimo giorno è il sabato in onore del Signore, tuo Dio: tu non farai alcun lavoro" (Dt 20, 8-10). Dunque il settimo giorno è "santo", ossia separato dagli altri giorni, perché appartiene a Dio. Santificare il settimo giorno vuol dire riconoscere, celebrare e vivere l'appartenenza a Dio, la signoria, il primato e la gloria di Dio nella nostra vita.
E' stato detto significativamente che la grande costruzione di Israele non è stata tanto il tempio di Gerusalemme, ma l'architettura del tempo, e che il sabato è la grandiosa cattedrale di Israele. Presso il popolo ebraico si è avvertita come primaria l'esigenza di un "Santo dei Santi nel tempo, rispetto a quella di un "Santo dei Santi" spaziale all'interno del tempio. Il sabato è il giorno che Dio si è preso per sé, affinché l'uomo, riconoscendolo come Dio, si potesse affrancare dagli idoli menzogneri, dagli dei mortiferi, e potesse quindi avere vita. Un rabbino ha scritto che non è Israele ad aver salvato il sabato, ma è il sabato ad aver salvato Israele.
La domenica è dunque un giorno irrinunciabile per noi cristiani. E forse non ci rendiamo conto del significato anche educativo che esso ha. Quali sono i fondamenti di questo "giorno santo"? Anzitutto il sabato è il memoriale della creazione, del senso e del fine della creazione. Il sabato è distinto, separato e diverso dagli altri giorni, perché è la celebrazione dell'agire e del tempo di Dio dentro all'azione e al tempo dell'uomo. Da qui nasce l'impegno del culto sabbatico, sia nel tempio come nella sinagoga e in famiglia: nulla deve disturbare il giorno santo, che diventa il sacramento degli inizi e quindi anche del fine della creazione. Il sabato è anche il memoriale della liberazione dalla schiavitù d'Egitto, dunque è la celebrazione di un passaggio: dalla schiavitù degli idoli pagani alla libertà dell'alleanza con Dio.
La domenica cristiana accoglie e porta a compimento il sabato ebraico. Essa nasce come "il primo giorno dopo il sabato": è l'espressione più frequente nei testi del Nuovo Testamento. La domenica è il memoriale della risurrezione di Gesù Cristo, che compie il senso della creazione e della nostra storia umana, e compie il passaggio - la Pasqua - dalla morte alla vita. Il giorno domenicale è la prefigurazione e il sacramento dell'ottavo giorno, ossia del giorno senza tramonto, che darà inizio alla "vita del mondo che verrà". La domenica porta anche nel nome ("dies Domini, dies dominicus") la sua vera identità: di essere il Giorno del Signore. Giovanni Paolo II, nella Lettera apostolica Dies Domini, del 1998, scrive: "Alle soglie del terzo millennio, la celebrazione della domenica cristiana, per i significati che evoca e le dimensioni che implica, in rapporto ai fondamenti stessi della fede, rimane un elemento qualificante dell'identità cristiana".
Quali sono, allora, gli atteggiamenti e i momenti fondamentali della domenica?
Anzitutto, non ci può essere domenica senza il convenire in assemblea, senza il ritrovarsi insieme in uno stesso luogo. Nel concreto passaggio dalle proprie case al luogo della comunità - per noi la chiesa parrocchiale - si vive un passaggio dalla dispersione all'unità, dal privato al comunitario, dall'esilio alla casa paterna. Non è possibile celebrare individualmente il giorno del Signore. La partecipazione all'assemblea domenicale non è questione di precettistica, ma di appartenenza ecclesiale e di identità cristiana. Il convenire insieme, chiamati da Dio perché il tempo è suo, richiede che la domenica sia giorno di riconciliazione reciproca tra i cristiani, giorno di fraternità e di relazioni ritrovate e ben vissute.
In secondo luogo, non ci può essere domenica senza eucaristia. La celebrazione eucaristica è l'aspetto originario della domenica e la contrassegna in modo irrinunciabile. Ma celebrare l'eucaristia significa recarci alla mensa della Parola e del Pane. Il Corpo sacramentale di Cristo risorto è dato dalla Parola, trasmessa nella proclamazione delle Scritture, e dall'eucaristia. Questi due momenti, uniti nella celebrazione domenicale, vanno presi seriamente e con gioia. Da qui l'impegno a rinnovare profondamente le nostre liturgie domenicali: che siano celebrazioni comunitarie e festive! Non arriviamo tardi e distrattamente alla messa. Non anteponiamo nulla - il sonno, una gara sportiva, una gita... - alla messa. Senza l'ascolto di Dio che continua a parlarci, e dunque a orientare il cammino della nostra esistenza, e senza la comunione con il Pane eucaristico che dà vigore ai nostri passi, immettendo nella nostra vita la forza della Pasqua di Gesù, non possiamo proclamarci cristiani, né vivere da cristiani.
Infine, la domenica è giorno di festa e di riposo. Perché è il giorno che rivela l'essenza della cose, l'amore alla bellezza, l'esistenza liberata dall'utilità e affrancata dall'efficientismo (da qui il senso del "riposo domenicale"), la gratuità dei rapporti (anziché una vicinanza agli altri dettata dal ruolo, dalla professione, dalla produzione…), il senso celebrativo della vita che impedisce l'atrofia e la banalizzazione dell'esistenza, l'attesa del mondo che verrà, il senso ultimo del tempo e della storia che sfocia nel mondo eterno di Dio.
La diversità di questo giorno rispetto agli altri giorni della settimana va salvaguardata e riproposta con forza dai cristiani: per non cedere a logiche solo salutistiche, che fanno della domenica un giorno narcisistico. Il nostro mondo, se non vuol smarrire il senso di marcia, ha bisogno della domenica, ha bisogno che i cristiani tornino a celebrare e a vivere - con maggior responsabilità, con maggior convinzione e con maggior gioia - il Giorno del Signore. Solo così la domenica può essere e rimanere anche il Giorno dell'uomo.


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