"Surrexit Dominus vere!"
 
da "Ritrovarci": anno XXVII - numero 2 - aprile 2004

Don Alberto Franzini

Ogni anno la Pasqua ci annuncia il cuore del Cristianesimo: Gesù, figlio di Giuseppe e di Maria, Figlio di Dio fattosi carne, è veramente risorto, ossia non è rimasto prigioniero delle fauci della morte e del buio di un sepolcro, ma ha sconfitto la morte per sempre. Non è soltanto la sua anima o il suo spirito che è tornato a Dio: Gesù ha fatto ritorno a Dio con tutta la sua umanità, ossia con la sua corporeità e con tutto il bagaglio della sua esperienza storica. Nulla, della vita di Gesù, è andato perduto. Il Risorto siede alla destra del Padre non come puro spirito, bensì come uomo che ha raggiunto la sua pienezza di gloria. I testi pasquali ci annunciano che Cristo è risorto con i segni della sua passione che rimangono per sempre: le mani forate e il costato aperto non solo costituiscono i segni del suo "passaggio" nel nostro mondo, ma sono anche la garanzia che nulla, della esperienza che viviamo in questo mondo, va perduto. Non solo l'eterno è entrato nel tempo, ma il tempo stesso ormai, a causa di Cristo, è già sfociato nell'eterno. E' la nostra vita di tutti i giorni - e non solo la vita del mondo che verrà - che è già abitata dalla luce e dalla vita di Dio.
Questo evento getta luce sul nostro modo di intendere la fede cristiana. Si parla, di questi tempi, di una insidia per il cattolicesimo di oggi, rappresentata dallo spiritualismo. Si tratta di un'insidia reale: pericolosa perché sottile e quasi impercettibile, irriconoscibile nella vita delle nostre comunità, eppure così presente.
Lo spiritualismo è sempre stato un'insidia per il Cristianesimo, che fin dalle origini ha dovuto lottare contro le tendenze gnostiche, fondamentalmente dualistiche, le quali oppongono la "verità" dello spirito alla "menzogna" della materia. E' una tentazione seducente, perché sembra sposare l'idea tutta "buona" che il bene stia nell'invisibile e il male nel visibile, che il bello stia nel cielo e il brutto sulla terra, che il vero stia nello spirituale e il falso nel materiale. Anche i cristiani della primitiva Chiesa di Corinto avevano sollevato alcune obiezioni contro la risurrezione di Cristo, che derivavano proprio dalla antropologia greca: la quale attribuiva al corpo una funzione negativa nell'espressione della persona, a tutto favore di una spiritualizzazione dell'umano, di uno svuotamento della corporeità, che Cristo invece ha assunto fino in fondo portandola alla gloria del cielo.
Da questo rischio non siamo immuni nemmeno noi, cristiani di oggi: pur vivendo in una cultura che sembra dare la prevalenza a ciò che è materiale, in realtà l'insidia dello spiritualismo non ci è estranea e condiziona la nostra stessa esperienza di fede.
Ad esempio, in nome del primato della coscienza - che costituisce uno dei dogmi del pensiero contemporaneo - l'esperienza cristiana sarebbe tutta da vivere nel sacrario del cuore, nell'intimità dei sentimenti, nella fede soggettiva, nelle scelte private che mai possono pretendere di assumere una forma pubblica e comunitaria. E' il Cristianesimo ridotto ad esperienza mistica, che si risolve nel mondo interiore dell'anima, senza alcun riferimento - né di fatto, né di diritto - alle dimensioni ordinarie della vita, quali la famiglia, il lavoro e la professione, i rapporti sociali e politici. La giusta distinzione fra fede e politica, l'affermazione sulla autonomia delle realtà terrene - insegnata anche dal Vaticano II, in termini ben precisi, ma non sempre conosciuti da tutti - anche a fronte della nota posizione islamica di identità pratica e teorica fra religione e società, fra fede e politica, si trasformano in indifferenza reciproca, con la netta delimitazione dell'esperienza cristiana nei confini della sfera intimistico-spirituale. La fede cristiana appare, in tal modo, incapace di gettare luce sulla universalità e sulla globalità dell' esperienza umana e viene inevitabilmente valutata solo in funzione di un "piacere spirituale", che rimane comunque nel chiuso della interiorità e quindi depauperato della sua destinazione a tutti.
Questa insidia si può annidare anche nelle forme del culto, della preghiera, della liturgia, della devozione, che sono certo momenti fondanti della vita cristiana. Con il rischio, tuttavia, di aspirare ad una soddisfazione di tipo estetizzante, che non cambia la qualità della vita e dei comportamenti pratici, lasciati totalmente in balia della cultura e degli ordinamenti della città secolare. In questo caso il fenomeno religioso, compreso quello cristiano, è sequestrato dall'esoterismo, ossia da una destinazione di esso per i soli iniziati, per i pochi intimi, oppure per alcuni momenti privilegiati del nostro vivere, ma non per tutte le dimensioni e le circostanze della vita. Ancora una volta il Cristianesimo viene privato della sua proponibilità a tutti, perde il suo carattere universale, riguardante l'esperienza umana come tale: accontenta e soddisfa solo le "zone spirituali" della vita. E così ogni interpretazione morale della verità cristiana viene sbrigativamente e negativamente qualificata come moralismo, e ogni testimonianza pubblica della fede cristiana come integrismo e fondamentalismo, indegni di cittadinanza in una società "laica". Si riduce, così, la verità del Cristianesimo a fruizione anestetizzante nei confronti dei dolori, degli impegni e delle responsabilità della vita ordinaria. L'esperienza di fede si configura soltanto come sogno, rifugio, sollievo, droga di fronte al disincanto della realtà, vissuta sempre più come esperienza priva di senso ultimo.
La Pasqua, ossia la risurrezione di Gesù da morte, impedisce ogni tentativo di disincarnare l'esperienza cristiana, di collocarla fuori dalla realtà, di ridurla - idealisticamente - a puro evento spirituale, di ammansirla e di assumerla come pura consolazione del cuore, svuotandone la portata fondamentale: che è di essere evento di salvezza per e nella nostra carne e nel nostro sangue, non a prescindere dalla nostra carne e dal nostro sangue, dentro - e non semplicemente accanto o, peggio, oltre - le condizioni ordinarie della nostra vita, dentro lo scenario della realtà sociale e storica in cui viviamo. Se è evento di salvezza, il Cristianesimo non è riducibile a pura esperienza dell'anima, ma entra in relazione - anche conflittuale - con le dominanti e con le potenze che governano il mondo, e che pretendono di possedere le chiavi del senso ultimo dell'esistere umano.
Sì, "surrexit Dominus vere!": il Signore Gesù è veramente risorto, con tutta l'intensità e anche la drammaticità della sua esperienza storica, con tutta la concretezza della sua e nostra condizione umana. L'evento cristiano è questo. Altrimenti è una cosuccia per anime belle.
Buona Pasqua a tutti!

Don Alberto


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