"Le parrocchie hanno bisogno di una rivoluzione culturale"
Intervista al filosofo Vittorio Possenti, docente di metafisica ed etica all'Università di Venezia, dopo la prolusione del card. Ruini al Consiglio permanente della CEI del gennaio scorso. Lo strapotere della scienza: una sfida per i credenti.
da "Ritrovarci": anno XXVII - numero 1 - febbraio 2004

di Francesco Ognibene

Non c'è dubbio che il cuore del discorso pronunciato dal card. Ruini all'ultimo Consiglio permanente della Cei sia la "questione culturale", o meglio - per dirla con il cardinale Ratzinger, il cui libro Ruini ha esplicitamente citato - il rapporto tra "fede, verità e tolleranza". Divagante astrazione, quando ben altro urge nelle parrocchie italiane?
Nient'affatto, come spiega il filosofo Vittorio Possenti.
Professore, per quali percorsi passano quelli che Ruini definisce i "pre-requisiti essenziali" al nodo del "rinnovamento missionario delle parrocchie in Italia?
"La missionarietà è intrinseca al cristianesimo, ma da tempo la comunità ecclesiale ha visto indebolita la sua capacità di propagazione del Vangelo, e non solo in Italia. Per comprendere quanto accade alla parrocchia, che resta il principale centro d'irradiazione dell'annuncio cristiano, è indispensabile però una diagnosi sullo stato culturale del Paese. Non si può eludere un confronto con alcuni 'punti alti' del nostro tempo".


A quali allude?
"Anzitutto al grande perso relativo assunto dalla scienza, una sopravvalutazione che prende il nome di scientismo: si tratta della pretesa moderna di considerare soltanto la scienza capace di conoscere in modo certo. Se però questo è vero, allora filosofia, teologia e rivelazione cristiana non sono in grado di far conoscere alcunché perché 'non scientifiche', e dunque fallibili, parziali, equivalenti a qualsiasi altra opzione. Di qui nasce il relativismo: se solo la scienza conosce qualcosa di certo, tutto il resto è mera ipotesi, teoria che nasce e si esaurisce nel pensiero di chi la sostiene".


Ma questa analisi cos'ha a che vedere con la vita delle comunità?
"Non è difficile scorgere le ricadute esistenziali di una cultura basata sullo scientismo e sul dubbio scettico, un impianto concettuale che tutti - credenti compresi - finiscono con l'assorbire, propagandato com'è dalle università come da giornali o tv. Lo definisco 'fallibilismo': tutte le nostre conoscenze sono provvisorie, eccetto quelle scientifiche. E laddove nulla è stabile non ha più alcun senso impegnarsi a determinare una differenza certa tra bene e male. Viene spianata la strada al darwinismo sociale, con la spietata selezione del più forte. Le pare poco?".


Tutt'altro. Ma c'è adeguata comprensione tra i cattolici di questo "tarlo" che lavora nelle coscienze, fino a sfibrarle?
"Non ancora, anche se il Progetto culturale documenta il chiaro impegno della Chiesa italiana nel rendere le comunità consapevoli della sfida e della sua posta. E' indispensabile diffondere la coscienza che la tesi fallibilista ha riflessi immediati sul tessuto ecclesiale. La comunità cristiana non ha ancora riflettuto adeguatamente sulla cosiddetta 'questione antropologica'. Dopo essersi appassionato ai grandi temi sociali o istituzionali, l'Occidente deve comprendere che è ora di volgersi verso le grandi questioni filosofiche: 'Uomo, chi sei?'. La Chiesa che introdusse il 'principio-persona' come un cuneo nella cultura classica si trova oggi a fronteggiare la 'filosofia del neutro' secondo la quale l'uomo non è né un 'io' né un 'tu', ma un anonimo esso. Di fronte a questa nuova sfida, è chiamata a ri-annunciare il Dio personale che dialoga con l'uomo, cioè con una persona. Eccoci tornati al rinnovamento missionario delle parrocchie, che rischia però di restare un richiamo astratto se privato del suo contesto culturale".


Da filosofo, ha un consiglio da offrire per 'tradurre' questi concetti in pratica?
"Alle comunità spetta un compito in tutto simile a quello del cristianesimo nascente. Allora si fu in grado di operare una rivoluzione culturale perché si sostenne un dialogo coraggioso sulla verità prendendo sul serio la filosofia antica. Fu dialogo fermo, del discernimento e non dell'acquiescenza. Occorre esserne all'altezza".

Francesco Ognibene

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