|  E' possibile "ripensare" la modernità? E' possibile 
        esercitare - sui fatti che negli ultimi tre secoli hanno delineato il 
        nostro presente - una lettura originale, che sia insieme giudizio critico 
        e fondazione di una visione nuova, viatico per un'antropologia più 
        degna dell'uomo? Sì, secondo don Luigi Negri, docente di teologia 
        e filosofia alla Cattolica di Milano, che ha voluto intitolare "Ripensare 
        la modernità" il suo ultimo libro, un conciso ma deciso saggio 
        edito da Cantagalli e introdotto da Ferdinando Adornato (pagg. 166, euro 
        8,80). Lo sfondo, attualissimo, su cui Negri conduce la sua rilettura 
        è l'effettiva possibilità di un dialogo fra laici e credenti, 
        la composizione dello storico dissidio sul terreno dei diritti della persona 
        e della società, alla luce di un umanesimo vero, non ideologico. 
        Lucidissima, impietosa è infatti la dissezione che l'autore opera 
        sugli inviolabili tabù del moderno e della sua pretesa assoluta 
        sull'uomo, identificandone i limiti, ossia quella concezione astratta 
        dell'umano che dall'antropocentrismo rinascimentale passa al razionalismo, 
        e di qui all'illuminismo e all'utopismo, ovvero alle grandi ideologie 
        totalitarie del Novecento, insomma all'esito anticristiano, tragico e 
        fatalmente violento del moderno. A fronte di tale dogmatica pretesa, Negri 
        individua le radici della laicità "sana", le ragioni 
        di una ragione che non è laicismo bensì elemento costitutivo 
        della persona e della sua domanda costitutiva di senso e di verità. 
        Come strumento di questo desiderio di bene che affratella ogni uomo agli 
        altri, la ragione trova quindi il proprio coronamento e certifica al contempo 
        l'origine cristiana della modernità: "Uno sguardo alla questione 
        dei diritti dell'uomo potrebbe bastare per rilevare come essa sia fondata 
        e sia emersa all'interno della concezione cristiana dell'uomo", afferma 
        Negri. Proprio in questo Dna cristiano, rivendicato a chiare lettere, 
        Negri rintraccia la vitalità di un pensiero laico moderno, non 
        astratto ma realista e veramente "liberale" ovvero appassionato 
        alla libertà, il cui testimone passa, per esempio, da Tocqueville 
        a Rosmini alla dottrina sociale della Chiesa del '900. Partendo dal discernimento 
        delle due componenti della modernità, il ragionamento di Negri 
        porta lontano sul piano delle conseguenze pratiche, della prospettiva 
        politica, richiamando concetti "sociali" e antistatalisti da 
        sempre cari a Comunione e Liberazione, come la priorità dei corpi 
        sociali sullo Stato, l'irriducibilità del religioso al politico 
        e della persona (morale) allo Stato (etico). Ferdinando Adornato, nella 
        sua prefazione che è un vero e proprio saggio parallelo, nota che 
        "queste pagine di don Negri inseguono un tempo nuovo. Scrutano l'alba 
        di un cambio di stagione. Egli scrive di sentimenti e di pensieri che 
        stanno già cambiando molte coscienze senza però che la coscienza 
        pubblica sia ancora in grado di certificarlo. Racconta i presupposti di 
        una rivoluzione culturale che sta ancora scavando nel sottosuolo ma che, 
        presto o tardi, troverà la sua epifania". Negri recupera quindi 
        la valenza di una cultura veramente "cattolica", cioè 
        universale in quanto basata sulla coscienza, che è bene comune 
        di laici e credenti; una coscienza dialogante, perché non è 
        più "schema astratto" bensì "sguardo realmente 
        affezionato alla realtà".
 
 
 
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