Da "Ritrovarci": Lo splendore del Natale (Dic. 2002)
di don Alberto Franzini

Il Natale ritorna ogni anno. A ricordarci l'evento di gran lunga più significativo e più innovatore della storia: Dio si è fatto uomo. Ha vissuto come noi, ha incontrato la gioia, la sofferenza e la morte come ogni figlio di Adamo. Per entrare e per dischiudere a tutta l'umanità la vita che non ha più fine. In quel Bambino nato a Betlemme è apparso lo splendore della Verità, il fulgore della Bellezza, la potenza della Bontà. Quel Bambino, nato in una grotta, morirà su una croce. A significare che Dio, volendo diventare uomo, ha scelto di condividere la nostra natura umana anche e perfino in quegli anfratti dell'esistenza che parrebbero i più lontani dalla luce di Dio: proprio per annunciare che non esiste esperienza umana, anche la più povera e la più vergognosa - e la morte è la più radicalmente povera e vergognosa - che non sia stata già raggiunta, perché già vissuta, dalla "condiscendenza di Dio" apparsa nel Verbo che si è fatto carne nel grembo di Maria.
Quanta lontananza, eppure quanta nostalgia, vive l'uomo contemporaneo del nostro occidente rispetto alla straripante ricchezza del Natale di Gesù! Perché mai questa lontananza? E poi, quale tipo di lontananza? Lontananza di pratica liturgica, dovuta ad una disaffezione certamente sempre più marcata del "popolo dei battezzati" dalla comunità cristiana e dai riti della Chiesa? Lontananza etica, ossia frutto di una prassi morale deviata che finisce per sentire come ostile e fastidiosa la presenza di un Dio giudice nel cuore del peccatore? Lontananza "religiosa", tipica dell'uomo occidentale, che vive "come se Dio non ci fosse"? Lontananza culturale, figlia di una visione secolarizzata, anzi secolaristica dell'esistenza, esaltata come il frutto più maturo di quell'illuminismo, che, in nome della ragione e della libertà, ha rifiutato la fede, la fede cristiana in particolare, come oscurantista, infantile, totalitaria? Lontananza come indifferenza al cristianesimo? Lontananza come rifiuto del cristianesimo? O come rifiuto della Chiesa storica e dei cristiani? Forse un po' tutto insieme.
Tale lontananza appare quanto meno strana. Perché si accompagna spesso alla seduzione nei confronti di altre forme religiose (l'islam, le religioni orientali, le nuove religioni), che appaiono più cariche di spiritualità, quando non degenera - perché si tratta di una vera e propria degenerazione - verso forme superstiziose che, più che mostrare i connotati della idolatria, presentano piuttosto quelli dell'ingenuità, se non della stupidità.
Ma è poi vero che il nostro Occidente sembra così voglioso di prendere le distanze dal Cristianesimo, che pure - come ebbe a dire anche il Papa nella sua visita al Parlamento italiano - costituisce il "cemento" della sua grandezza e del suo sviluppo anche culturale? Perché si ha l'impressione che qualcosa si stia muovendo, che l'insistenza sulla cultura dell'effimero e la presenza del "pensiero debole", così prepotentemente invasiva, stia generando - come ha sottolineato il presidente della Conferenza episcopale italiana, card. Ruini, nell'ultima Assemblea Generale - "una reazione di stanchezza e anche di rigetto, per cui sono largamente diffuse le richieste di un cambiamento di rotta".
Il Natale è lì a dirci, in tutta la sua nuda e semplice bellezza, che il Cristianesimo non consiste solo in qualche gesto di bontà, in qualche sentimento umanitario, in qualche affanno etico, in qualche rito liturgico. Il Cristianesimo è il "Verbo che si fa carne". Dunque, è Dio che ha deciso di entrare nella nostra tenda umana, per riempirla della sua misericordia, del suo splendore, della sua gloria.
Sono ancora tanti, forse troppi, i cristiani che giocano tutto - tutta l'esperienza di fede - sulla propria coerenza, comunque sempre altalenante, e sulla propria "giustizia", come direbbe san Paolo. Oppure che vanno a rimorchio dei grandi temi della pace, dell'ecologia, dell'aiuto ai poveri, dell'accoglienza dell'immigrato e di quant'altro: più per non perdere un posto sulla ribalta politica o per tentare di sconfiggere sudditanze psicologiche che non per amore e testimonianza quotidiana al Verbo che si è fatto carne.
Il Natale è la sconfessione dei nostri tentativi umani di salvezza e di redenzione. E' la sconfitta dei tanti messianismi che invadono il mercato mondiale e che, facendo leva sull'eterna illusione prometeica dell'uomo, provocano delusioni e lacerazioni nel cuore dell'uomo come nella vicenda storica di intere popolazioni.
Il Natale è lì a dirci che l'esperienza della fede - almeno di quella cristiana - non ha origine nelle nostre energie e nei nostri progetti di liberazione, ma in Dio che si fa dono nel nostro mondo umano; e che tale esperienza cresce e si sviluppa nell'accoglienza, libera e responsabile, dell'abbraccio misericordioso di Gesù sulla croce, che ci viene donato e riproposto nei sacramenti, nell'ascolto della Parola di Dio, nella partecipazione umile e gioiosa alla vita della comunità cristiana, nell'incontro con ogni persona, bisognosa e povera eppure grande e fonte di stupore in quanto persona umana, come ciascuno di noi: perché creata ad immagine di Dio, redenta da Gesù Cristo, abitata dallo Spirito Santo.
Che il Natale 2002 porti nel nostro cuore, come nella vita delle nostre famiglie e della nostra comunità, lo splendore dell'abbraccio misericordioso del Signore Gesù, unico Salvatore di tutti e di tutto. Questo è il mio fraterno augurio che rivolgo a ciascuno di voi, insieme a don Guido e a don Davide.