Da "Ritrovarci": Quel sepolcro incomprensibilmente vuoto (Mar. 2002)
di don Alberto Franzini

"Raccontaci, Maria: che hai visto sulla via?". "La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto!". Così canta, da secoli, la sequenza "Victimae Pascali" della liturgia del giorno di Pasqua, il giorno più bello e significativo non solo dell'anno liturgico, ma dell'intero cammino della nostra esistenza, del cammino dell'intera umanità.

"Christòs anésti", "surrexit Dominus vere": Cristo è risorto! Così si esprime, nelle antiche lingue del greco e del latino, la fede di tutta la Chiesa, di Oriente e di Occidente.

Quel sepolcro di Gerusalemme, accanto al Calvario, di proprietà di Giuseppe di Arimatea, quel sepolcro incomprensibilmente vuoto diventa il simbolo della nostra vita incomprensibilmente inconsistente. Non ci vuol molto a rendersi conto - questo vale sia per i cristiani, sia per i lontani dalla fede - che la nostra esistenza è vuota; che la nostra è una vita dove nulla resiste all'usura del tempo, dove le persone care scompaiono, dove perfino gli ideali più nobili sembrano scolorire con gli anni. Non ci vuol molto a rendersi conto che l'uomo, considerato nella sua dimensione terrena, è una strana creatura che passa i suoi primi anni a illudersi e i suoi ultimi anni a prendere atto delle delusioni; che la storia umana, senza un salvataggio che venga da altrove, è una avventura senza capo né coda, è una tragedia senza plausibilità. Questo è un dato che si impone a chiunque, tranne a chi decide di non pensare e si stordisce in una dissipazione alienante, in un chiasso o in un silenzio disperato.

Ma proprio a partire da questa esperienza universale, così ben descritta anche in certe pagine sapienziali della Bibbia ("Tutto è vanità"…ripete ossessivamente il Qoèlet), l'umanità si divide.

C'è chi non oltrepassa il "sepolcro vuoto". E allora o si consegna alla fatuità del vivere, riversandosi nelle crapule, nelle ubbriachezze, negli sballi e negli stordimenti, accidiosamente accolti o freneticamente ricercati, oppure approda ad un traguardo di scetticismo e di nichilismo, che renderà infelici i suoi giorni sulla terra, che renderà problematici, anzi contraddittori perché senza sbocchi, tutti i suoi moti di ricerca della verità.

C'è chi, invece, si abbandona con la fede tra le braccia di Colui che, morto sulla Croce, ha donato la gioia del Paradiso al brigante che gli era vicino, a Colui che è stato testimoniato come il Vivente, il Vincitore del peccato e della morte. In questo caso quel "sepolcro vuoto", che i pellegrini possono ancora, stupefatti e ammutoliti, contemplare a Gerusalemme nella Basilica che gli orientali chiamano "dell'Anastasis" (Risurrezione), diventa colmo della presenza di Dio. Gesù risorto, solo lui ci può garantire un'esistenza senza tramonto e una gioia senza insidie e senza inganni.

Il sepolcro vuoto della Pasqua è la garanzia che non è vuoto il mondo; che in quel sepolcro si è riversata la nostra vuotezza per essere riempita della potenza di Dio, si è riversato il nostro peccato per essere mutato nella grazia salvante di Dio, si è riversata per sempre la nostra morte per essere trasformata in Vita eterna. Quel sepolcro vuoto è indubbiamente la miglior notizia che è risonata nella vicenda umana: è l'unica buona notizia che possa circolare tra gli uomini e che nessun Santoro, nessun Biagi, nessun Costanzo, nessun Ferrara sono mai in grado di darci. Solo la fede delle donne, solo la fede degli apostoli, solo la fede dei santi, solo la fede della Chiesa ci possono donare la garanzia - avvalorata dalla testimonianza della vita, pervenuta a volte fino al sangue - che Gesù Cristo è davvero risorto.

Quel sepolcro vuoto è la felice confessione, è la gioiosa proclamazione che il cosmo intero ha un Signore, un Signore vivo, un Signore che era morto, ma che ora trionfa sulla morte, sicché "la morte non ha più potere su di lui" (Romani 6, 9).

Soprattutto quel sepolcro vuoto ci rivela che la Pasqua è la sola, l'autentica, l'eterna e intramontabile festa della nostra liberazione. Non una delle improvvisate e provvisorie liberazioni che illudono, di tanto in tanto, gli uomini; che spesso abbattono una tirannide per crearne un'altra, magari peggiore; che lasciano immutato il giogo degli oppressori - la menzogna, la prepotenza, l'ingiustizia… - che schiavizzano l'umanità.

Nella Pasqua di Gesù ci sono le radici di ogni nostra reale libertà, c'è l'antidoto contro le tante insidie che portano alla degradazione dell'uomo. C'è l'insidia della sfrenatezza morale, vantata dalla cultura dominante come una conquista di libertà e di autonomia. C'è l'insidia dell'idolatria, che, eliminato il vero Dio, finisce per creare un'infinità di fantocci che illudono e deludono il cuore dell'uomo. C'è l'insidia di un potere politico e finanziario totalizzante, che finisce per offuscare il cammino di libertà, tarpando le vere ali dell'uomo, che sono la ragione e la fede. C'è l'insidia dei vari maestri di tragressione, che oggi predicano dai pulpiti mediatici e ottundono sempre più le intelligenze e le coscienze di tanti di noi. C'è l'insidia di un amore "libero", ossia senza vincoli stabili, senza fecondità, senza finalità, senza responsabilità…

"Ubi fides, ibi libertas": dove c'è la fede, lì c'è la libertà, diceva il grande sant'Ambrogio. Nella Pasqua "Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi" (Galati 5, 1). Questa è la Pasqua cristiana.

Che ci sia qualcuno che ancora la annunci, che ancora la testimoni, che ancora ci creda: di questo, non di altro, ha bisogno il mondo di oggi. Una "Chiesa confessante" è il sale e la luce del mondo. Una Chiesa omologa al mondo, una Chiesa reduplicata sul mondo, una Chiesa funzionale al mondo: è quanto di più inutile e dannoso i cristiani possono offrire oggi. Niente è più triste, e più anticristiano, di un cristianesimo politically correct, pronto a snaturarsi e ad autodenigrarsi, pur di accreditarsi a tutti i costi negli aeropaghi del mondo che conta.

Buona Pasqua a tutti, insieme a don Guido, don Davide e don Carlo!