Da "Ritrovarci": La solitudine non è per l'uomo (Giu. 2000)
di don Alberto Franzini

Il tempo liturgico che stiamo vivendo, tra la Pasqua e la domenica della Trinità, è la memoria di una consegna. Lo Spirito Santo che, effuso dal costato aperto del Signore crocifisso e risorto, è stato consegnato per sempre a noi e riversato nei nostri cuori. Il mistero santo di Dio, uno nella divina natura e trino nelle divine Persone, inabita in noi. Nella Trinità santa c'è ormai un Uomo, il Figlio di Dio, che permane per sempre segnato dalla sua donazione sulla croce: è l'Agnello sgozzato - di cui parla l'Apocalisse - che rimane ormai vivo per sempre, perché con "i segni della Passione vive immortale", come recita un prefazio della nostra liturgia romana del tempo pasquale. Dopo la morte e la risurrezione del Verbo incarnato, la santa Trinità divina non è più la stessa di prima, perché nel suo seno abita il Figlio di Maria, rivestito per sempre della nostra umanità. Il Verbo di Dio, Gesù Cristo, non ha fatto ritorno alla "Casa del Padre" come se nulla fosse successo. Ha portato con sé, e per sempre, la sua e la nostra umanità, con i segni del dolore e della morte, ormai trasfigurati nello spazio della Gloria divina. La Trinità santa ormai è abitata dall'Uomo. In Gesù risorto, tutti noi siamo già, mediante il dono dello Spirito, "concittadini dei santi e familiari di Dio" (Efesini 2,9).

Questa profonda verità della fede genera fecondità esistenziali di enorme portata.

L'uomo è definitivamente strappato da una solitudine drammatica: non il caso è la sua placenta originaria, ma il seno di Dio, nel quale ciascuno di noi è stato concepito; non la morte è il suo destino finale, ma la comunione beata con Dio; non la solitudine è la condizione delle sue giornate, ma la ricchezza dell'amore preveniente e provvidente di Dio. L'uomo non è solo, perché lo sguardo di Dio è la luce che illumina i passi del nostro camminare, il suo Spirito è il calore che riscalda e feconda i nostri cuori, dà senso ai moti e alle vicende, anche tragiche e dolorose, della nostra vita, guarisce dagli abissi del nulla in cui spesso rischiamo di essere travolti.

L'uomo è fatto per la relazione, perché costituito originariamente da una relazione e destinato esistenzialmente ad una relazione che non lo inganni con abbagli effimeri, non lo deluda, non lo illuda, non lo strumentalizzi. L'uomo è costitutivamente fatto per una Bellezza lucente che lo illumini senza seduzioni ingannevoli, per un Bontà gratuita che lo responsabilizzi senza affogarlo negli affanni moralistici, per una Verità piena che apra la sua ragione al mistero, senza perimetrarla e rinchiuderla negli angusti spazi di una ratio puramente logica, funzionalistica, strumentale e calcolatrice.

L'uomo è costitutivamente creato ad immagine e somiglianza non di un Dio generico e astratto, ma di quel Dio che Abramo, Mosé e Gesù ci hanno fatto conoscere: un Dio che non è un monarca assoluto e solitario, ma è Padre, Figlio e Santo Spirito. Le Persone divine rivelano la sinfonia, la comunione e la ricchezza del Dio che è Amore. Il Padre è Colui che ama donando amore, il Figlio è Colui che è amato, abbandonandosi, accogliendo e obbedendo all'Amore del Padre, lo Spirito Santo è Colui che, impedendo al Padre di essere Padre-Padrone e al Figlio di essere schiavo del Padre, opera creativamente e liberamente sempre nuovi traguardi all'Amore. L'Amore - che si trova in Dio - è dunque l'Amore amante (il Padre), l'Amore amato (il Figlio), l'Amore fecondo e creativo (lo Spirito Santo).

L'uomo, ogni uomo, è costruito su questa identità di Dio. Senza averne troppa coscienza, noi viviamo già il mistero di questo Amore nelle nostre relazioni umane: nelle relazioni fra uomo e donna, nelle relazioni sessuali, nelle relazioni familiari, nelle relazioni fra amici, nelle relazioni all'interno della comunità cristiana, nelle stesse relazioni professionali e sociali, noi siamo chiamati a vivere la ricchezza e la totalità dell'Amore che ci ha costituito. Siamo modellati anzitutto sul Figlio, diventato nostro fratello, e quindi siamo chiamati ad amare ricevendo e accogliendo l'amore che ci viene donato: la recezione dell'amore, quella che abbiamo vissuto ad esempio all'interno della nostra famiglia, è la prima nostra grande esperienza. La gratuità di un amore preveniente è ciò che ci portiamo dentro come dono inesauribile, come momento sorgivo di qualunque altra esperienza di amore. Siamo modellati sul Padre, e quindi chiamati a donare, nella stagione matura dell'esistenza, le nostre energie di vita, senza pretese di possesso e di ritorni, secondo la dominante della gratuità, non del proprio tornaconto. Siamo modellati sul Santo Spirito, e quindi chiamati a non accontentarci mai dei traguardi raggiunti, a desiderare e ad esplorare sempre vie nuove, a consentire che l'Amore, da qualunque parte provenga, sia Lui a regnare in noi e attorno a noi, anche quando non ne siamo diretti protagonisti, perché lo Spirito Santo "non sai di dove viene e dove va" (Giovanni 3, 8).

Nella nostra cultura dominante, che si trova ad essere sedotta o dalle sirene dell'individualismo libertario o da quelle della massificazione omologante e spersonalizzante, l'esito è il medesimo: l'uomo occidentale si trova sempre più solo di fronte ai compiti e ai traguardi ineludibili della vita. E rischia la disperazione. Solo il ritrovamento delle nostre autentiche radici - ossia il ritrovamento, reso evidente sulla croce gloriosa di Gerusalemme, della nostra identità di figli di Dio, creati a sua immagine, da Lui ostinatamente amati e perdonati e a Lui predestinati da sempre e per sempre - può ridare speranza e senso alle opere e ai giorni brevi della nostra esistenza.