Enzo Bianchi


L'amore umano nel
Cantico dei Cantici




 

 

 

Parrocchia di Santo Stefano
Casalmaggiore 2003
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Mentre la tradizione ebraica e la tradizione cristiana hanno preferito una lettura allegorica o tipologica del Cantico dei Cantici, come canto dell'amore di Dio verso Israele, o dell'amore di Cristo verso la sua Chiesa, o dell'amore dello Spirito Santo verso l'anima di ogni persona, Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, pur non scartando tale lettura, vede in questo poemetto biblico - in ciò ricuperando un'intuizione di Bonhoeffer - l'esaltazione e la celebrazione dell'amore terreno. E' una meditazione originale, ricca di annotazioni antropologiche, di considerazioni psicologiche, di richiami religiosi, di suggestioni provocatorie. Comunque é una meditazione di solida e rara bellezza, tenuta ad Assisi nel 1994.
Il testo - non rivisto da Enzo Bianchi e trascritto pazientemente dal nastro dalla sig. a Silvana Leli, che vivamente ringrazio - risente dell'esposizione orale, che ho preferito lasciare nella sua genuinità e spontaneità.. E ringrazio soprattutto Enzo Bianchi, che non me ne vorrà per la divulgazione di un testo scritto che rispecchia sostanzialmente il testo parlato, liberamente circolante con il consenso dell'autore.

don Alberto Franzini

Casalmaggiore, 11 luglio 2003
Festa di san Benedetto abate,
patrono d'Europa


1. Il Cantico nella tradizione ebraica e cristiana

Mi è stata affidata una relazione sul volto dell'amore di coppia nel Cantico dei Cantici e, devo dire, che ho accettato questo tema con gioia, con entusiasmo, anche perché la mia assiduità col Cantico è lontana, è antica, come vi dirò; e poi perché, credo, che sia soprattutto compito monastico di leggere il Cantico dei Cantici attraverso le diverse vie dell'interpretazione. In quella piccola biblioteca che è la Bibbia (biblioteca da biblìa, si chiama così la Bibbia in greco) c'è un piccolo libretto, che porta il nome "Cantico dei Cantici" in ebraico Sir hassirim, locuzione questa per dire "il cantico più bello". Questo libretto nel suo titolo viene attribuito a Salomone, Selomoh, da shalom, il pacifico, il re: poeta per eccellenza in Israele - dice la Bibbia - avrebbe scritto tantissimi cantici, di cui solo una parte conservata nei salmi e qua e là e soprattutto il re che conobbe donne straniere, moabite, ammonite, idumee, fenice e ittite e che aveva 700 principesse per mogli e 300 concubine, più tutte le altre che ha trovato. Continua ancora il testo biblico: "Salomone a tutte queste si legò per amore" (cf. 1Re 11,1-3)e tuttavia questo Cantico dei Cantici si presenta a noi pieno di enigmi.
Innanzitutto è un cantico d'amore. Ma un amore tra chi? Si dice tra Selomoh e Sulammit, cioè tra un giovane che porta il nome di "Pacifico" e una donna che porta il nome di "Pacifica". Shalom, Selomoh, Sulammit: questi nomi "Pacifico, Pacifica" chi indicano veramente? Certamente non Salomone il re, certamente non la Sulammit, perché la Sulammit eventualmente è stata accanto al padre di Salomone, al vecchio Davide, non accanto a lui.
Chi sono allora "Pacifico e Pacifica"? Ecco un enigma. Ma una prima risposta é: per fare l'amore ci vuole la pace. Solo chi conosce lo shalom, dunque Pacifico e Pacifica, conosce il vero amore.
Ma poi c'è un'altra domanda e certamente una domanda radicale: ma perché questo canto d'amore nella Bibbia? E' un libretto di amore che contiene delle canzoni d'amore tra un uomo e una donna. E diciamo la verità: è anche un cantico poco pudico, tant'è vero che ha trovato tanta difficoltà a entrare tra i libri biblici e comunque non ha mai trovato una collocazione liturgica chiara, sia nel giudaismo che nella Chiesa. Il giudaismo lo legge la notte di Pasqua, ma in realtà lo legge in fretta e non in una collocazione eloquente e gloriosa; la Chiesa ne piglia qualche volta una parte o l'altra, ma comunque pochi versetti, tutt'al più per applicarli a Maria. Ma di tutto quel che dice il Cantico, cioè una storia d'amore, sembra che poi si abbia difficoltà a servirsene nella liturgia.
Alla fine del primo secolo, non sappiamo bene la data, tra l'80 e il 100, a Iabne, una località vicino all'attuale Tel Aviv, si radunarono tutti i dotti, i rabbini superstiti della caduta di Gerusalemme avvenuta nel 70 ad opera di Tito. Fu l'imperatore Vespasiano a dare il permesso per questo sinodo, un sinodo che rappresenta l'inizio dell'ebraismo rabbinico, quello che continua fino ad oggi, l'ebraismo unico vincente che uscì da quel pluralismo ebraico che c'era al tempo di Gesù: esseni, qumramiti, farisei, sadducei, altre componenti. Fra tutte queste componenti, ne restò solo una dopo la caduta di Gerusalemme: la componente farisea, rabbinica. In quel sinodo i dotti hanno cercato di fissare il canone biblico, cioè fissare in maniera definitiva quanti erano i libri della Bibbia e quali erano contenenti la parola di Dio; alcuni libri ponevano dei problemi, non molti in verità, ed erano: il libro di Ezechiele, il libro di Qoelet. Ma tra questi c'era un libro che pose dei problemi: il Cantico dei Cantici, perché molti rabbini dicevano: sono canti di taverna, tutt'al più canti di festa nuziale; nel nostro linguaggio: canzoni della stagione delle mele. Ma tra loro c'era Rabbi Akiva, il grande rabbino che morirà martire nella seconda distruzione di Gerusalemme ad opera dei romani nel 135, il quale disse: "Il mondo intero non vale il giorno in cui è stato dato ad Israele il Cantico dei Cantici, perché tutte le Scritture sono sante, ma il Cantico dei Cantici è il Santo dei Santi, cioè Santissimo". Decodifichiamo questo linguaggio: tutto le Scritture sono sante, cioè sono qualcosa che viene da Dio e appartiene a Dio, ma nello spazio del tempio il Santo era riservato al popolo di santi, Israele; ma poi c'era quella stanza cubica in cui Dio direttamente era presente, il Santo dei Santi. Ebbene il Cantico dei Cantici - disse Rabbi Akiva - è come il Santo dei Santi al cuore del tempio, è il libro santissimo. E' grazie a Rabbi Akiva che il Cantico dei Cantici è entrato nella Bibbia. La Chiesa poi ha ereditato l'A.T. d'Israele, si è trovato questo libro e sovente è restata imbarazzata di questa presenza.
La cosa fu risolta abbastanza presto con Origene, il grande maestro dell'esegesi cristiana, il quale amò tantissimo questo libro, ma vi trovò che l'amore che là era descritto era semplicemente un amore parabolico, era un amore che rinviava a qualcosa d'altro, un amore più profondo, l'amore tra Dio e il suo popolo, Israele, l'amore tra Cristo e la Chiesa. Intelligentissimo é il commento di Origine, forse una delle cose più belle e da lui in poi si è praticato sempre e soltanto questo tipo di lettura, che diremmo "tipologica" o "allegorica" e sono stati soprattutto i monaci che hanno commentato il Cantico dei Cantici.
Dalla patristica antica alla patristica medioevale, nel Cantico dei Cantici - commentato da Bernardo, da Guglielmo di St. Thierry e da Gilberto d'Oilland, questi tre cistercensi che ne hanno fatto un commento straordinario bellissimo - sempre si è individuato l'amore tra Dio e il suo popolo, tra Cristo e la Chiesa, tra lo Sposo che è il Messia, il Cristo e la Sposa che è ogni credente, l'anima del credente: lettura alla quale va un rispetto enorme, perché indubbiamente è il segno più evidente di una ricerca di Dio, del cercare Dio. Solo dei cristiani depotenziati e depauperati, come sono oggi la maggior parte dei cristiani, pensano che si può parlare di Dio senza il registro dell'amore. Il vero cristiano, prima di essere colui che crede in Dio, è colui che è legato a Dio, che aderisce a Dio, che ama Dio, altrimenti sarà un cristiano che parla di Dio alla terza persona, incapace di balbettare il tu; ma quando si balbetta il tu c'è l'amore.
Questa è una tradizione degnissima e quando uno della Riforma protestante, il Castiglione nel 500 ebbe il coraggio di leggervi un canto d'amore, proprio per questo doveva essere tolto subito dalla Bibbia e suggerì a Lutero e agli altri di toglierlo, perché se è solo un canto d'amore terreno, che ci fa nella Bibbia? Fa un po' impressione sapere che per 2000 anni circa questo libretto è stato letto ad un senso unico e che solo alla metà di questo secolo si è cominciato a leggervi e a trovarvi l'aspetto più elementare, quello letterale, cioè è un libretto che parla dell'amore umano. Mi fa sempre sorridere il pensare che in questa catena patristica non c'erano soltanto persone spirituali, ma c'erano anche esegeti espertissimi, come Gerolamo. Gerolamo capiva che questo cantico era un canto d'amore. Oltre che essere un canto d'amore tra Cristo e la Chiesa, parlava anche dell'amore umano, ma Gerolamo forse non poteva dirlo al suo tempo, e lo diceva in questa maniera: diceva che ci voleva una iniziazione a leggere la Bibbia e che c'erano libri difficili, per cui il Vangelo di Giovanni andava letto dopo i 25 anni, come il Cantico dei Cantici dopo i 60.
Io vi confesso che quando penso a questo processo, per cui è stato più facile cogliere per 2000 anni l'amore tra Dio e il suo popolo, piuttosto che l'amore umano, l'amore che poi tutti crediamo di conoscere, l'amore con il quale ci siamo costruiti e siamo maturati, più o meno bene, sorrido dentro di me e sono contento che sia andata così, perché percepisco che è molto difficile parlare dell'amore umano.
Capitemi bene - non fatemi dire eresie - io sono convinto che è più facile parlare dell'amore di Dio e il suo popolo, dell'amore tra Dio e la Chiesa, dell'amore tra l'anima e Cristo, che non parlare e parlare bene dell'amore tra un uomo e una donna, dell'amore umano e terreno.
E' facile parlare dell'amore umano e terreno, ne parlano tutti, oggi poi, proprio in questo momento in cui solo degli imbecilli credono che ci sia un pansessualismo dominante: la verità è che l'amore umano è parlato, ostentato, mostrato, ma non è esperito; se fosse davvero esperito non ci sarebbe tanta letteratura, né sarebbe il caso di mostrare quello che costantemente appare mostrato dai mass media. Non è vero che c'è un pansessualismo dominante, piuttosto permettetemi di dire che, secondo me, c'è una senescenza precoce dei sensi oggi, c'è un'impotenza dilagante sempre di più di tipo sessuale. Questa è la verità, ma proprio perché a questo amore è difficile accedere con autenticità, ed è difficile parlarne in maniera veritiera.
Tentativi ce ne sono di parlare dell'amore umano, ma tentativi maldestri e, devo dire, che quando leggo i commenti al Cantico dei Cantici usciti in questi ultimi anni, in cui tutti parlano di questo amore umano e cercano di commentarlo e rinarrarlo, resto sovente molto perplesso e sovente preferisco certi films o leggere certi romanzi come "Le perle malate" di Cacile, un romanzo straordinario, vera parafrasi al Cantico dei Cantici, che non leggere dei commentari fatti magari da uomini pii, ma che in reazione sovente al loro essere pii declinano il sesso in una prosa indecente.
Tra i primi a capire questa esigenza di leggere il Cantico come cantico dell'amore terreno, ma a capirne anche tutta la difficoltà, è stato forse il più grande teologo di questo secolo, chiaroveggente e profeta, Dietrich Bonhoeffer, del quale ci accingiamo a festeggiare e a ricordare il cinquantenario della morte il prossimo anno il 9 aprile .
Ebbene Bonhoeffer 50 anni fa nelle lettere dal carcere parlando del Cantico dei Cantici dice: (lettera del 2 giugno '44 al suo amico Eberhard Bethge) "Vorrei leggere il Cantico dei Cantici come un cantico di amore terreno, probabilmente questa è la migliore interpretazione cristologica. Devo meditare su Efesini 5".
Bonhoeffer, la sua grandezza, la sua capacità!
E poi nella lettera del 20 maggio del '44 scrive - e qui vi leggo più estesamente, quasi un'introduzione a quello che dirò dopo-: "C'è in realtà il pericolo in ogni forte amore erotico di perdere la polifonia della vita. Dio e la sua eternità vogliono essere amati con tutto il cuore, ma senza che venga indebolito l'amore terreno. L'amore di Dio è come il cantus firmus, rispetto al quale altre voci vengono suonate come contrappunto e uno di questi contrappunti è l'amore terreno. Anche nella Bibbia c'è il Cantico dei Cantici e non si può veramente pensare un amore più sensuale, più caldo, più ardente di quello in cui nel Cantico dei Cantici si parla. Dove il cantus firmus è chiaro e distinto, allora il contrappunto può dispiegarsi con il massimo vigore e l'ampia libertà" .
Questo è un testo capitale. Se c'è una ragione per cui io sono cristiano e per cui credo in Dio, ve lo dico francamente, è perché il mio Dio, il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, il Dio di Gesù Cristo e che è Gesù Cristo, mi chiede di amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le mie forze, ma mi lascia spazio anche ad altri amori. Vuole il primato dell'amore, vuole il cantus firmus, ma mi lascia spazio ad altri amori. Che bestemmia c'è in certi cristiani quando dicono: "Dio solo mi basta". Poverini! Stanno disprezzando tutto il resto che viene da Dio e che Dio ha voluto. Non sono esperti costoro di Dio, sono voraci di Dio, non lo cercano, lo vogliono mangiare.
Infine il 18 dicembre '43 Bonhoeffer ancora sottolinea che cosa sia l'amore terreno: "Credo che dobbiamo amare Dio e aver fede in Lui, in un modo tale che quando arriva la nostra ora, ma solo allora, noi possiamo andare a Lui con amore e fiducia nello stesso modo. Ma - per dirla francamente - che un uomo nelle braccia della sua donna debba avere nostalgia dell'al di là, è a dir poco mancanza di gusto e comunque non è secondo la volontà di Dio" . Coloro che dicono: "Dio solo basta" sono quelli che farebbero il segno della croce a metà mentre fanno l'amore.
Ecco le chiavi che vi fornisco per entrare nel Cantico dei Cantici, ma con una memoria: 25 anni fa ho scritto e pubblicato un commento al Cantico dei Cantici sotto il titolo 'Lontano da chi, lontano da dove', in cui la lettura che proponevo, senza negare l'amore umano presente nel Cantico, era una lettura che faceva emergere l'amore fedele, il folle amore tra Dio e Israele, fra Cristo e la Chiesa. Sì, ho tentato 25 anni fa di mettermi in quella successione patristica e monastica di autori, continuando l'esegesi rabbinica e l'esegesi monastica, trovando nel Cantico dei Cantici la più bella narrazione dell'amore di Dio. Io non sono un pentito e neanche un convertito, per me questa è una grazia. La lettura che vi propongo oggi non cancella quella che ho fatto 25 anni fa e che sta là scritta, non la cancella e sono contento di averla fatta; oggi vi faccio l'altra faccia dell'amore, l'altra lettura dell'amore contenuta nel Cantico e spero che l'aver tardato 25 anni sia stato un po' fare il cammino che ha fatto la Chiesa in 2000 anni. Sembra strano: a 25 anni avrei dovuto parlare dell'amore umano e ho parlato invece dell'amore di Dio, adesso che sono stagionato e ne ho 50, parlo dell'amore invece umano, ma non cancello l'amore di Dio.
Certamente qualcuno di voi si chiederà: ma perché proprio un monaco che è celibe dovrebbe rileggere il Cantico dei Cantici come amore terreno?
Innanzitutto la mia è solo una lettura, l'altra fatela voi, soprattutto voi sposati o voi impegnati nell'amore; e poi forse le cose viste a distanza sono viste meglio che non da chi è implicato, e noi monaci un po' di distanza dall'amore umano dovremmo averla presa.

2. Il Cantico: i tre movimenti della sinfonia dell'amore.

Passiamo allora al commento: nel Cantico dei Cantici, nel quale io vedo l'amore come in una sinfonia, io vi scopro tre movimenti:
1. nascita dell'amore capp. 1 e 2
2. una sezione sufficientemente estesa, il cap. 3, 4 e 5: l'esilio dell'amore
3. infine i capp. 6, 7 e 8: il trionfo dell'amore.
Tre movimenti come nelle sinfonie, tre situazioni in cui ci sono gli ingredienti dell'amore, la storia dell'amore, perché l'amore è leggibile solo in una storia, in una vicenda, fino alla celebrazione finale dell'amore senza fine. Tutto questo ha un preludio, il cap. 1 vv. 1-4.

Il preludio (1, 1-4)

Cominciamo la lettura dell'amore umano: c'è un uomo e una donna o, meglio, c'è un ragazzo e una ragazza, uno di fronte all'altro, due poli che sono a volte vicini a volte lontani. Quando trovate nelle vostre Bibbie la dizione "lo sposo", "la sposa", questa è già un'interpretazione, perché i titoli nella Bibbia non ci sono, vengono messi dai traduttori; la Bibbia va dall'inizio alla fine in un susseguirsi di righe. Questa è una traduzione un po' ideologica, si vuol subito dire: qui c'è uno sposo e una sposa. No, anche in questo rispettiamo il tempo, rispettiamo anche quello che sta scritto; non facciamo una ideologia, non costruiamo una gabbia per mettere secondo i nostri canoni quello che per noi diventa legittimo e che senza questa gabbia non lo sarebbe.
C'è un ragazzo e una ragazza dall'inizio alla fine del Cantico, vedremo poi come si collocano tra loro vicino o lontano, vedremo che cosa desiderano su questo loro rapporto. Ma il Cantico dei Cantici è la celebrazione dell'amore umano, terreno, non è la celebrazione dell'amore matrimoniale, anche se vedremo non lo esclude; ma è l'amore, la vicenda di amore in sé, perché il Cantico dei Cantici ha davvero questa convinzione, che trovava anche Bernardo quando lo commentava: "Amor sufficit sibi", l'amore basta a se stesso. La giustificazione dell'amore è l'amore, il fine dell'amore, il primo fine dell'amore è l'amore: "Amor sufficit amori".
Leggiamo il prologo: un uomo, una donna, un ragazzo, una ragazza e la prima cosa che emerge al v. 2 è il desiderio, sì, il desiderio. Dice questa ragazza: "Mi baci con i baci della sua bocca".
Il desiderio in noi, in ogni uomo è il frutto di un lunghissimo lavoro. Il desiderio è generato dall'approfondimento del bisogno e dei bisogni differiti. Il desiderio nasce soltanto dall'esercizio di una vera e propria arte. "Officina desideriorum" diceva Gregorio Magno, il padre della Chiesa che io invoco sempre come uomo dal santo desiderio. E' il desiderio che dice la qualità di un uomo e di una donna; vir desideriorum, mulier desideriorum, uomo di desideri, donna di desideri è la persona umana nella sua pienezza, che sa desiderare. E' difficilissimo imparare a desiderare bene. Chi non desidera è un morto, non è più un vivente, secondo la Bibbia. La atarassia, l'impassibilità non sono virtù cristiane, né bibliche; ma desiderare: che arte difficile! Desiderare è la capacità esattamente contraria del tutto e subito. Chi dice: tutto e subito, vuole subito e tutto, non desidera, è uno che ha soltanto dei bisogni, confonde i bisogni con i desideri; non conosce l'arte del differire, quindi non conosce neanche l'arte dell'attendere, quindi non ha capacità di stupore.
E' qui che questa amata amante inizia a parlare, sono le prime parole nel Cantico dei Cantici di questa amata amante; come canta, esprime il desiderio. Noi dovremmo sempre esprimere i bisogni parlando, ma esprimere i desideri cantando. La differenza tra il bisogno e il desiderio è solo questa.
Chi di voi non ha mai pensato all'arte con cui la madre ha avuto questa funzione di portarci dal bisogno al desiderio. Grande compito della madre, il più grande, una seconda generazione del figlio. Il bambino sulle tette della madre non sente la madre, sente una collina, una matrice: mangia, mangia, mangia. Il bambino che poppa, mangia e poi la madre a un certo punto gli fa capire che quel bisogno può essere differito. No, oggi non poppi più, oggi hai già poppato abbastanza. E più tardi: Adesso basta, non ho più latte! C'era un tempo in cui, quando le madri non avevano più latte e il bambino faceva fatica a staccarsi dalla poppa e avrebbe voluto costantemente la matrice, non voleva accedere dalla matrice alla madre, e la madre per non farlo soffrire troppo, pur tenendolo in braccio intingeva la mammella con del carbone, e la rendeva nera. Il bambino a quel punto, vedendo le mammelle nere, non le cercava più e così si svezzava in una maniera forse un po' più dura rispetto ai suoi bisogni, rispetto a quello che lui voleva. L'arte dello svezzamento avviene quando, ad un certo punto - solo le donne lo sanno - il bambino che poppava sul seno e mangiava, un giorno alza gli occhi, incrocia gli occhi della mamma e da quel momento capisce che non c'è più una matrice da consumare e da divorare, ma c'è una mamma, una donna, altra da lui che gli può dire sì e no. Permettetemi la parafrasi, è da monaco ma è molto importante: da quel momento il bambino non vive di solo pane, ma di ogni parola che esce dalla bocca di sua madre. Il bambino non vive di solo latte, ma di ogni sguardo, di ogni parola che esce dalla bocca di sua madre. Come più tardi dovrà capire che l'uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola, di ogni sguardo che esce dalla bocca di Dio.
Arte con cui il bisogno differito ci insegna il desiderio e il desiderio forte, quello che narra questa amata amante "mi baci con i baci della sua bocca", è quel desiderio che abita chi è giovane, un desiderio che sfianca, un desiderio che a volte fa venir meno, un desiderio che ci turba, che ci scuote dentro, per cui qualche volta, a seconda delle situazioni, o impallidiamo o diventiamo rossi.
C'è un poeta ebreo-russo, il quale dice: "Mia colomba, tu sai come ci baciamo noi ebrei (e penso anche noi cristiani), quando il cuore non si distingue più dal cuore dell'altro, quando petto contro seni nessuno dei due sa chi dei due respira, quando materiale e immateriale spariscono, non resta che un solo soffio, quando non esistono più parole, ma solo il parlare degli occhi, quello è il bacio".
Sì, anche il bacio nostro. Il bacio umano - è per questo che questa amata-amante lo invoca - è innanzitutto il volto contro volto, perché l'amore terreno nel suo vertice è il mantenimento, è il desiderio del volto. Non ci si perde con i baci in un caos, non c'è da percorrere un sentiero che porti alla fusione, sogno impossibile; ci deve essere nel bacio l'ebbrezza del faccia a faccia, cioè dell'alterità celebrata "io e tu", uno di fronte all'altro. Nel bacio, in cui si parlano le pupille degli occhi, ci si osserva e si vedono le pupille dilatarsi, palpitare quasi. Quello è il bacio umano: "mi baci con i baci della sua bocca". Neanche l'amplesso ha valore senza il bacio, l'amore non è aprosopon, non è senza volto, altrimenti se l'amore avvenisse senza la visione del volto, senza la ricerca del volto, è un amore cosificato, è l'amore colto in modo disorganico, come un insieme di strumenti di piacere. Non è un caso che nella prassi della prostituzione difficilmente c'è posto al bacio. Non è un caso che le riviste pornografiche mettano sempre un' ostensione del sesso, lo rappresentano, sono martellanti affermazioni di meccanica dell'amore, ma non sanno dare il senso della totalità dell'amplesso, di cui però il volto contro volto è la chiave necessaria per capirlo ed esperirlo. Il bacio è l'inizio dell'amore celebrato, ma è anche l'inizio dell'ebbrezza del desiderio.
Ma come emerge il desiderio (noi uomini siam fatti così), è subito raffigurazione, è subito scena. Dopo che questa donna ha detto "mi baci con i baci della sua bocca", il desiderio gli scatena l'immaginario, l'immaginario accende e nutre il desiderio: "le tue carezze", dodim in ebraico che è molto più che carezze. Se c'è un'espressione attuale per dire dodim è il petting. I tuoi dodim inebriano più del vino. L' ebbrezza inizia dal bacio e poi c'è il profumo, c'è l'odore, e qui noi siamo incapaci di capire: questa ragazza non solo immagina i baci e l'esperienza degli occhi, ma nel suo immaginario vuol fare un'esperienza totalizzante con i cinque sensi, quelli che ci possono catturare: gli occhi, mai stanchi di desiderare; e poi l'esperienza del gusto nel bacio; ma poi questa donna si augura gli effetti del tatto, il toccare, ma nella sua immagine vorrebbe anche sentire l'altro attraverso l'odorato. Ognuno ha un odore e un tempo si era molto più affinati nel sentire gli odori, la gente era molto più esercitata a percepire l'odore dell'altro e, permettetemi però di dire, che era forse anche un tempo in cui l'altro portava con sé il profumo, adesso invece dappertutto c'è bisogno di deodoranti. Chiediamoci anche il perché, con un po' di intelligenza: non ci sarà qualcosa che ha imbarbarito il nostro corpo e le nostre relazioni, se abbiamo tanto bisogno di deodoranti? Significa che puzziamo e non che non profumiamo. Mancanza di qualità della vita, mi permetto di dire, per quello si puzza. Uno che ha una qualità di vita odora, profuma.
A un certo punto c'è come un gioco poetico, che viene fatto dalla sposa, che dice: "Il tuo nome è profumo che si espande". Vi ricorderete di questo bellissimo cantico anche all'interno dei Vespri di Monteverdi "Oleum effusum nomen tuum", con quel contrappunto tra il gregoriano prima e la polifonia dopo: "Il nome tuo è olio che si spande".
Ricordare il nome dell'amato, sussurrare il nome, chi di noi non l'ha fatto quando era innamorato? E ci dava un'ebbrezza, sembrava che la sua presenza riempisse il luogo in cui noi stavamo. E permettetemi di farvi sentire il gioco sonoro, meraviglioso dell'ebraico: semeka, nome tuo, semen, profumo che si spande, ma il nome è sem e il nome è Selomoh e il nome dell'amata è Sulammit. Questo suono è il suono di sete che si toccano insieme, quando si incrociano pezzi di seta, vestiti di seta: semen, sem, semeka, Selomoh, Sulammit, questi suoni meravigliosi.
E poi "Chiamami, attirami - dice la sposa - con il profumo del tuo corpo". Quanto è importante il profumo di una persona nell'incontro amoroso. Credo si dovrebbe sapere che molte persone ci piacciono, ma proprio perché hanno un profumo cattivo, come le incontriamo ci passa subito quel desiderio che avevamo di loro. Molti ci sono antipatici perché hanno un odore che non si combina con le nostre narici. Chi conosce bene l'arte dell'incontro lo sa, ma invece la donna: "attirami... il tuo profumo" e poi "mi introduca il re nelle sue stanze regali".
Ma attenzione a non lasciarvi fuorviare, non è vero che la storia di questo amore è la storia tra un re e una ragazza. La verità è che nell'amore i due partner sono sempre re e regina "mio re, mia regina, mio principe, mia principessa". Chi, pur essendo figlio di un bifolco contadino, se sapeva far bene l'amore, non ha detto queste cose alla bifolca contadina di fronte? Sono vocativi dell'amore e nel far l'amore si è sempre re e regina.
E poi "sì, sei degno di essere amato, a ragione le ragazze di te si innamorano".
Finisce il prologo, ma nel prologo ci sono tutti gli elementi perché la storia di amore si snodi.

Primo movimento: la genesi dell'amore

Il ragazzo e la ragazza sono effettivamente uno davanti all'altro, e come sono uno davanti all'altro, in quella situazione di desiderio "mi baci con i baci della sua bocca... attirami a te", si parlano. L'amore umano deve essere un amore parlato, proprio perché è l'incontro di due corpi, ma attraverso due volti, e sono corpi umani. L'uomo è quando parla, l'uomo è quando comunica. Se l'amore non lascia posto alla parola è animale, non è amore, è incontro animale. E guardate che quando manca la parola anche l'incontro amoroso diventa voracità, soddisfazione del bisogno. L'amore è loghike', mi permetto di dire in greco, dev'essere loghike', secondo il logos parlato, razionale ma nel senso non tomista. L'amore è l'accesso alla parola che permette l'incontro, la relazione. Il desiderio reciproco deve diventare linguaggio, linguaggio poetico che rende più consapevole e più umano il desiderio, linguaggio che, ritardando l'unione fisica, rende il desiderio più forte, più umanizzato; linguaggio che permettendo la contemplazione dell'altro partner, rende anche il desiderio più appartenente al soggetto.
L'ars amandi quanto è difficile! Abbisogna non solo dell'arte del desiderio, ma poi dell'arte dell'incontro. Parlando, l'amante e l'amata introducono tra di loro la dimensione della contemplazione, cioè destano la presa di coscienza antropologica di che cosa sia l'amore, l'incontro, l'io e il tu. L'amore non parlato è ridotto a mezzo di soddisfazione del bisogno e basta. L'amore non parlato è ridotto a sesso che, come dice Freud, vuol essere scaricato e soddisfatto, anzi io direi proprio per un rispetto al sesso, che in quel caso l'amore neanche è sesso, ma è sesso ridotto a genitalità. E' un mangiare, un divorare l'altro.
C'è una cosa che noi dimentichiamo, soprattutto nella Chiesa, almeno la sensazione che io ho avuto sempre nell'educazione che mi hanno dato è che si sia dimenticato che dietro a ciascuno di noi, cioè l'età della pubertà, della giovinezza, non c'è la castità; dietro di noi c'è il caos, non l'amore ordinato, c'è la pulsione, c'è l'emergenza disordinata delle passioni, dei desideri. Non a caso chi fa l'amore e non ha ancora capito l'arte dell'amore, e lo fa in maniera prematura, sovente nel suo linguaggio introduce parole come queste: "Io ti mangio, ti divoro": regressione del bambino sul seno della matrice, comprensibile. Ma l'amore è un lungo apprendistato, la castità nel vero senso della parola - castità matrimoniale, castità umana - è un lungo itinerario. Ci vuole molto tempo a capire che l'altro è da incontrare, non da mangiare, che l'altro è colui che sta di fronte a me nella sua alterità, che rappresenta l'accoglienza ma anche l'alt. Noi scegliamo sempre tra "l'altro é l'inferno" di Sartre e l'altro come semplicemente quello che io devo mangiare, né più né meno. Nel Cantico dei Cantici, permettetemi di dire, c'è un grande "amen" alla sessualità, non vista in modo angosciato né in modo cinico. C'è un "amen" all'eros, desiderio sessuale, dono di Dio. Ma c'è un'arte, o se volete, una disciplina, o se volete, un'ascesi, per me le tre parole sono corrispondenti: arte, disciplina, ascesi dell'amore, vere indicazioni per un'ars amandi. Purtroppo pochi la vedono, ma c'è. C'è una cultura nel Cantico dei Cantici, una cultura della sessualità e c'è una disciplina per imparare ad amare.
Come è difficile dire questo ai giovani. Chi glielo dirà? Chi insegnerà loro l'ars amandi? E a partire da un libro biblico, perché no?
Ecco allora nel primo movimento il faccia a faccia fra amante e amato, amante e amata. L'amata-amante cerca l'amato-amante, lo vuole rincorrere sulle colline dove lui pascola il gregge. Era davvero un pastore? Poco importa. E' bello pensare di fare una ricerca tra le colline.
Poi dice: "Tu mi stai spiando dietro i muri": è il gioco dell'amore, correre insieme e poi rincorrersi, poi nascondersi un po', poi rinnovare l'incontro, attendere la voce dell'altro, riconoscerlo da lontano, dire. "E' lei... è lui".
Chi non ha vissuto in maniera palpitante questa situazione, magari soprattutto in situazioni di gelosie; andare in un posto e da lontano sembrare di averla vista? E' lei e poi rincorrerla. No, non è lei, mi sono sbagliato.Eppure non l'ho trovato, mi sembrava che era lei, lo era davvero? E intanto il cuore palpita. E poi il linguaggio del corpo: i due si contemplano nudi senza vergogna e scoprono l'uno la bellezza dell'altro. Contemplazione estetica, ma stupita e certo poetica. Tutti gli amanti sono belli l'uno per l'altro.
Certo, voglio solo cogliere in questo primo movimento due versetti da commentare.
Innanzitutto l' amata-amante dice: "Mi ha introdotto nella cella vinaria e il suo vessillo su di me è amore, la sua sinistra è sotto il mio capo e la sua destra mi abbraccia avvolgendomi"(2,4). Guardate la celebrazione di questo amore, è davvero l'amore terreno che deve, secondo Dio, diventare così. Quando c'è l'incontro e qui c'è indubbiamente l'incontro amoroso fino in fondo, notate "nella cella vinaria", perché la stanza in cui si è, diventa una stanza che non ha più soffitto ma semplicemente un cielo azzurro e perché ogni stanza diventa una specie di cantina, di cella vinaria, come amavano chiamarla i padri monastici medioevali. E' il luogo dell'ebbrezza in cui sventola solo il vessillo dell'amore. Anche qui, ambiguità del linguaggio, ma bella; ciò che è vessillo, ciò che sta dritto è l'amore.
Poi l'altro versetto dell'amante-amato: "O mia colomba, voltati, fammi vedere il tuo volto, fammi udire la tua voce, amica mia, vieni!" (2, 10.14). E' il Cantico quando celebra la comunità comunicativa di tutto il corpo. Si potrebbe dire che nel Cantico l'uomo e la donna non hanno il corpo, ma l'uomo è il suo corpo e la donna è il suo corpo; è l'amore come partecipazione totale. Ed ecco allora che ci sono, in questa celebrazione dell'amore, i riti, dico il rito nel senso di ciò che fa un giorno diverso dall'altro. Nel fare l'amore, proprio perché non si vuol ripetere il gesto, ci sono dei riti, sono i riti dell'amore, il duetto, il dialogo, il dono reciproco, l'incontro.
E poi in questo primo movimento, attenzionealò v. 16: "Il mio amato è per me e io sono per lui".
Attenzione, qui faccio la prima emergenza nel primo movimento: vi ho detto fin dall'inizio che la faccia dell'amore che vi sto leggendo nel Cantico è quella terrena e umana, e davvero la capisce chi crede veramente a quella parola di Tertulliano: "caro, cardo, salutis", è la carne il cardine della salvezza. E Tertulliano dice: "E' con questo corpo che tu ti salvi, è questa carne che è unta perché tu sia figlio di Dio, è questa carne che riceve la carne di Cristo perché tu sia divino". Non c'è nel cristianesimo un'angoscia cinica della carne, non c'è un cinismo verso il corpo, il corpo è santo nella sua carne. Il Cantico è il Cantico dell'amore terreno, amore terreno lo ripeto, di un amore terreno sempre visto di fronte a Dio. E allora, proprio qui, un versetto centrale ci fa un primo richiamo nel primo movimento: genesi dell'amore. La nascita dell'amore dove porta? "Il mio amato è per me e io sono per lui".
Se uno lo legge veloce e non conosce bene la Scrittura, è un'altra espressione, una variante del petting parlato, ma in realtà questa è una formula dell'Alleanza. Dire "Il mio amato è per me e io sono per lui" è esattamente la formula dell'Alleanza che viene declinata: "Voi siete per me un popolo e io sarò per voi il vostro Dio" o, se volete, Paolo che è un rabbino e conosce questo procedimento, dirà ancora in 1Cor: "Il corpo è per il Signore e il Signore è per il corpo" (6,13). Non a caso Paolo da quel passaggio di 1Cor fa discendere la risurrezione. Il Signore è in alleanza con il mio corpo, la mia carne, non con la mia anima, con la parte immateriale di me. Attenzione ai dualismi platonici sempre presenti all'interno di una spiritualità cristiana depauperata di tutta l'eredità biblica.
"Io sono per lui e lui è per me". L'amore nato e cresciuto è alleanza, non può essere diversamente. Nel Cantico c'è un amore tra ragazzo e ragazza, tra uomo e donna, non tra sposo e sposa, ma l'alleanza richiama che tutto dovrà essere celebrato nell'alleanza, preciso segno dell'amore di coppia. Un amore terreno, l'avete visto come è terreno, ma in un'alleanza, in un un patto, "Il mio amato è per me e io per lui".

Secondo movimento: l'esilio dell'amore

Dal cap. 3 al cap., 6,3 c'è il movimento dell'esilio dell'amore.
Il tono di questa sezione è notturno, ci sono degli elementi di sogno, come i "Notturni" di Chopin, o come "il Sogno di una notte di mezza estate": i due amanti non sono più vicini, ma sono lontani. Questo è certo. E' un sogno questo? Qualche esegeta dice che chiaramente in questa sezione sono narrati dei sogni, cioè saremmo giunti alla fine del primo movimento: l'amplesso, la celebrazione dell'alleanza. E' vero, dopo l'amplesso a volte si dorme ed ecco che nel dormire lo sposo, la sposa, cominciano a sognare.
Può darsi che sia davvero un sogno o tre sogni di seguito. Ma certamente comunque ciò che è sognata è la distanza. Nella vicenda d'amore e proprio perché l'amore non è mai un incontro effimero, passeggero, si instaura la distanza; proprio perché l'amore è una vicenda, a un certo punto c'è la possibilità dell'assenza. E permettetemi di dire agli sposati che sono tra di voi: non c'è qualche volta solo la possibilità dell'assenza, qualche volta c'é la possibilità dell'esilio, qualche volta anche della rottura, qualche volta avviene qualcosa per cui ci si separa. Ma quando ci si separa nasce un'altra dimensione: attesa, ricerca reciproca.
Questa zona notturna al cuore del Cantico dei Cantici è la crisi? Sì, può darsi che sia la crisi, ognuno ci metta quello che sente dentro, intanto lo sente a partire dalla sua storia e dalle sue fibre. E' il confronto? E' il momento di riconoscersi e di accettarsi dopo il momento iniziale che è sempre pieno di fuoco e di amore? L'innamoramento? E' venuto il momento di amare in un modo diverso?
Sì, qui c'è il cammino dell'amore.
Cosa vuol dirci questa seconda parte, questo intermezzo notturno? Ci vuol dire tante cose. Innanzitutto, quando si è lontani c'è la distanza, ci si cerca. Fa parte del gioco dell'amore. La nostalgia: questo sentimento che strugge e ferisce, ma come è necessario all'amore! Che tristezza due che sono sempre insieme e non si separano mai neanche un giorno! Poverini! Se non sanno percepirsi a distanza, si perderanno nell'amore di vicinanza, saranno come intontiti a un certo punto, e non si riconosceranno più. Non è una disgrazia l'esilio. La distanza: stare ogni tanto lontani l'un dall'altro, anche nell'amore più fedele. E voi sapete che non c'è nulla di più tormentoso della nostalgia, tant'è vero che il termine in greco nòstos algos è dolore impossibile. Bellissimo quando penso alla nostalgia come a dolore impossibile. Nella nostalgia noi dobbiamo semplicemente aspettare e aspettare e ancora aspettare e poi ancora aspettare, e soffrire indicibilmente per la separazione, e alimentare la nostalgia fino quasi a star male. A volte noi dobbiamo esercitarci alla nostalgia, fino quasi a star male. Ma soltanto così conserviamo intatta la relazione, la comunicazione, la comunione con le persone che amiamo.
Come è importante nell'amore l'amarsi anche a distanza! Permettetemi di dire: se c'è un riflesso dell'amore umano nell'amore per Dio, questo, secondo me, si ha nella nostalgia, perché l'amore per Dio mantiene forzatamente questa linea di nostalgia. Dio è invisibile, Dio è sempre al di là di tutto, è quasi assente, lo cerchiamo sempre, il nostro è un quaerere Deum, ma la sua è una presenza elusiva. Che meraviglioso testo, purtroppo mai tradotto in italiano, di un grande esegeta, Samuel Terrien, un testo degli anni trenta "The elusive presence", la presenza elusiva di Dio. Dio se ne va. Quando ci sembra che Dio l'abbiamo incontrato non c'è già più, subito fugge. Presenza elusiva.
S. Bernardo ha quel bellissimo testo in cui dice: "Mi succede a volte che il Verbo mi visiti". S. Bernardo, che è un uomo pieno di intelligenza non ha apparizioni, dice: "Capita a volte che il Verbo mi visiti", notate l'allocuzione "verbo" parola, che la parola mi visiti. "Durante la lectio divina, ecco lo sente, arriva, il Verbo mi visita, quasi mi ferisce il cuore e come cerco di dire: ma tu chi sei? se ne è già andato, non c'è più". Presenza elusiva del Dio nascosto. Noi siamo sempre in esilio, lontano dal Signore, il nostro amore per lui è un amore a distanza e solo chi ha vissuto un amore umano a distanza, con la separazione, il distacco, l'esilio, sa cos'è questo elemento di nostalgia che c'è sempre nell'amore per Dio. E guardate che in questo esercizio di nostalgia c'è l'antidoto contro la senescenza precoce dei sensi, l'impotenza dovuta all'abitudine e al meccanicismo dell'incontro amoroso. E davvero si può rinnovare.
C' è una espressione, non oserei dirla io, è di Giovanni Paolo II. Oserei dire con lui: "Si rinnova così la liturgia dei corpi nella celebrazione dell'amore". Non è un monaco, è il Papa che la dice: che audacia, io non l'avrei!
A questo punto, in quei sogni l'amata-amante dice (ricordate questa scena perché è una scena evocata più volte): "Nel mio letto, durante la notte, ho cercato l'amato del mio cuore. L'ho cercato ma più non l'ho trovato" (3,1). Forse si è svegliata, dopo quell'amplesso lui non c'è più e così sogna. Chi ha paura di una cosa e si addormenta con quella paura di notte poi la sogna, sovente è così; lei voleva sempre tenerlo stretto nel letto, come si addormenta sogna che lui se ne sia andato. Io leggo così; allora dice: "Mi sono alzata per cercarlo, sono andata per le strade della città" (cf. 3,2). Lui é andato certamente con i suoi amici di nuovo in qualche bettola: "ho incontrato le ronde, le guardie notturne e ho detto loro: Avete visto l'amato del mio cuore? E poi girato un vicolo subito l'ho trovato" (cf. 3,4).
Stupore: "Non lo lascerò più, lo stringo a me, lo porto a casa" (cf. 3,4). Fine di colpo, perché il sogno è finito.
E poi di nuovo ricomincia al cap. 5: "Io dormo, ma il mio cuore veglia" (5,2); stavolta fa un altro sogno, non che lui sia scappato dal letto, ma che lui venga mentre lei dorma: "Io dormo, ma il mio cuore veglia, un rumore. Ah, è l'amato del mio cuore. Bussa. Mi sembra di sentire la voce. Aprimi, mia amica, mia colomba, mia perfetta" (5,2). E allora lei fa le moine, un po' come tutte le donne: "Ma sai, sono già a letto, sai mi sono tolta i sandali e lavata i piedi, se mi alzo ad aprirti li sporco" (cf. 5,3).
E poi nel Cantico questa donna ama tanto dormire. I Padri della Chiesa dicevano che per forza è la Chiesa, perché dorme sempre. Soprattutto i monaci dicevano: "E' la Chiesa che dorme sempre, se fosse sveglia il Signore sarebbe già tornato" e allora nel Cantico questa donna dorme e c'è sempre un coro che dice: "Non svegliate la mia bella, non svegliatela, lasciatela dormire". E allora lei posticipa, differisce l'incontro: "Ma sai, sono a letto nuda, mi sono lavata i piedi" e allora dice: "Il diletto tentò di forzare il chiavistello". Lei allora non ce la fa più, va ad aprire e come arriva alla porta, come sempre nei sogni, lui non c'è più (cf. 5, 4-6). Terribile! Presenza elusiva: c'era e se n'è andato, troppo tardi! Allora lei ritorna di nuovo per la città, ritrova le guardie e stavolta la picchiano, la disprezzano, si aggira di notte così costantemente, non cerca il suo amato, è una prostituta e allora la battono e lei dice: "Sì, per amore del mio amato, ho rischiato di sembrare una prostituta. L'ho pagata fino a sembrare una prostituta, mi hanno anche picchiato, ma cosa non farei per l'amato del mio cuore!".
Permettetemi un paragone per farvi sentire le vibrazioni del Cantico: è come David, questo uomo che era un grande amante, che ha amato bene certamente le sue donne, soprattutto Betsabea, ma ha amato ancora di più Dio; e Davide un giorno, quando vede l'arca di Dio che va a lui, non capisce più niente e dalla gioia si spoglia e diventa nudo. La sua prima moglie Mikal, che era una di quelle donne tipiche pie, lo guarda dalla finestra e dice: "Il re tutto nudo, bella figura!". E lui le dice: "Sai Mikal, per Dio non solo mi farei nudo svergognandomi di fronte a Israele, ma mi svergognerei di fronte alle schiave delle schiave, perché amo tanto Dio che per Lui piglierei la vergogna più grande su di me e tu che non capisci questo resterai sterile" (cf. 2Sam 6, 20-23): infatti non ha più fatto figli. L'ha pagata così questa incapacità di amore.
E' così l'amore, per l'amore si fanno anche delle brutte figure.
Ma è notturno.

Terzo movimento: trionfo dell'amore o amore senza fine, o ricomincia l'amore.

Subito all'inizio cap. 6, 9 una parola forte in questa fase: "Unica è la mia colomba, la mia perfetta". Il Cantico dei Cantici dice: 70 mogli, 30 concubine, come il libro dei Re aveva detto: 700 principesse per mogli, 300 concubine più le ittite, le moabite, le fenice. Ne aveva Salomone! Ma guardate: "Unica è la mia colomba, la mia perfetta". L'amore è incontro di una coppia, tra un io e un tu. E' in questa unicità duale che c'è il re e la regina "Mio principe, mia principessa". E la sposa dunque è unica.
E allora qui: "Tu sei come l'aurora, bella come la luna, fulgente come il sole" (6,10). Queste parole i più pii di voi le ricorderanno, perché le cantano ogni anno: Tota pulchra es Maria; si canta sempre nella novena dell'Immacolata.
E lo sposo che viene meno per lo sguardo, le dice. "Non guardarmi, distogli i tuoi occhi, non resisto". E la sposa gli risponde: "Il tuo palato nel baciarti è vin dolce (io tradurrei vin santo, o Zibibbo di Pantelleria). Io sono per il mio amato e la mia brama è per lui". Versetto capitale che capovolge il versetto di Gen 3, 6, quando Dio dice alla donna: "Verso l'uomo sarà la tua brama, ma lui ti dominerà", cioè tu donna desidererai l'uomo, ma l'uomo ti dominerà: terribile testo che ha significato una verità vissuta purtroppo nella storia e forse ancora da viversi a lungo.
E' un capovolgimento importantissimo, "la sua brama è verso di me, la brama dell'uomo, la brama del ragazzo, la brama dell'amante è per me" (v. 11).
E poi quel canto così bello che forse qualche volta abbiamo fatto anche noi a 13, 14, 16 anni, quel canto che ci viene da fare quando nel primo innamoramento vorremmo qualche volta anche un elemento di ostentazione per esibirlo di fronte agli altri: "Guardate, ormai sono un amante, ormai sono un innamorato", e poi non lo facciamo, perché cosa direbbero! E allora anche lei che dice: "Ah, se tu fossi mio fratello" e lui: "Ah, se tu fossi mia sorella, ti bacerei qui, ti abbraccerei per strada, terremmo la mano nella mano", nessuno malignerebbe, sono fratello e sorella. E invece non possiamo farlo altrimenti malignano tutti. "Ah, se tu fossi mio fratello!".
L'amore ha bisogno qualche volta di pubblicità, di essere mostrato, ma poi è così difficile mostrarlo, narrarlo agli altri. Nell'amore sempre secretum nostrum nobis, il nostro segreto è per noi. Chi mai ha svelato il vero amore a un'altra persona! Non è possibile.
"Ma se tu fossi mio fratello ti bacerei, ti porterei a casa, ti farei bere vino inebriante e tu mi insegneresti l'arte dell'amore". Amore senza fine.
E poi alcune parole di conclusione dello sposo o della sposa, non si sa chi le dice, normalmente si pensa che sia la sposa, ma in realtà il testo non dice il soggetto di queste parole: "Mettimi come sigillo sul tuo cuore". E' la terza parola di questo amore terreno grande, ma di fronte a Dio. La prima era quella in cui si metteva conto l'alleanza: "Io sono per lei, lui è per me". La seconda: l'unica, l'unicità. La terza: l'amore va sigillato.
Unico è l'amore, unica l'alleanza con quel sigillo: le nozze.
"Perché l'amore è forte come la morte,
tenace come l'inferno e fuoco divorante".
Ed ecco la finale straordinaria
"Fiamma di Jah"
cioè fiamma di Adonai.
Jah è la prima parte del tetragramma, Jahwe, fiamma del Signore.
E' l'unica volta in cui nel Cantico dei Cantici appare il nome di Dio. Non l'avevamo trovato fino a questi ultimi versetti. L'amore è fuoco divorante, non solo: l'amore è fiamma di Dio, cioè fuoco divino.
E concludo: l'amore che canta il Cantico dei Cantici è anche amore terreno.
Tenete la lettura anche di un amore tra Dio e il suo popolo che ho già fatto e che mantengo, non cancello con questa lettura. Non sono un pentito, andatevela a leggere, qui dovevo parlare dell'amore umano. E' un amore tenero, umano, ma è in se stesso divino, fiamma di Jahwe, fiamma di Adonai.
Dio l'ha voluto e quando Dio l'ha visto questo amore in Adamo ed Eva ha visto che era cosa molto buona. E Dio si rallegrò e si rallegra ancora e sempre dell'amore autentico terreno e vero come quello descritto nel Cantico dei Cantici, amore di una ragazza e di un ragazzo, di un uomo e di una donna.


1 Bonhoeffer è morto il 9 aprile 1945.
2 Cf. D. BONHOEFFER, Resistenza e resa, Bompiani 1969, pp. 225-226.
3 Ibid., p. 162.